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mercoledì 26 giugno 2013

di Unknown

Intervista | Oblivion, il pianeta della "dimenticanza"

Si è conclusa domenica scorsa la mostra Oblivion, presso l'Alviani ArtSpace, lo spazio espositivo nel cuore dell'AURUM di Pescara, accessibile solo e grazie ad un tunnel, opera site specific realizzata dal maestro dell'optical art Getulio Alviani. 
Ancora una volta, la scelta espositiva di Lucia Zappacosta, direttrice dello spazio,  ha regalato all'opera di Alviani una nuova identità. 



Ricordate l'ammirazione del Piccolo Principe quando approda sul pianeta del lampionaio che non fa altro che accendere e spegnere ogni minuto il suo lampione, nella solitudine dello spazio che lo accoglie? La stessa ammirazione e la stessa poesia l'ho provata viaggiando nel pianeta Oblivion: un'immersione totale in un piccolo ambiente fatto di buio denso e proiezioni luminose. Un pianeta abitato non da un unico lampionaio ma da un collettivo di tre artisti che accolgono i viaggiatori con le loro tre installazioni.

La mostra, a cura di Sibilla Panerai, ha ridisegnato completamente lo spazio dell'Alviani ArtSpace, immergendo il visitatore in una dimensione altra, in cui suono, luce e materia dialogano fra loro con fare poeticamente minimal. Il pianeta Oblivion ha coordinate totalmente nuove. 

Luce: intrappolata, evanescente, psichedelica, appare e scompare in un gioco continuo di verticali e orizzontali sospese a mezz'aria, proiezioni concentriche e perpendicolari.
Materia: quasi invisibile, è pelle che cattura i giochi di luce, è parete labirintica consumata dal tempo, un fossile in cui il buio si scompone per lasciar spazio a rose luminose.
Suono: un battibecco altalenante che narra la composizione e scomposizione di materia e luce, grazie alla bravura di un violinista classico ma non troppo (Luca D'Alberto) e un chitarrista dell'underground (Pierluigi Filipponi).




Per spiegarvi meglio il progetto abbiamo intervistato il collettivo formato da Giustino Di Gregorio, Manuela Cappucci e Claudio Pilotti,  i tre artisti che intrecciando i loro percorsi, le loro ricerche, sensazioni e emozioni ci guidano verso lo stato sperduto della "dimenticanza".

Giustino Di Gregorio, Manuela Cappucci, Claudio Pilotti
Eccovi l'intervista ai tre lampionai di Oblivion.


Servizio video a cura di blarco.com
Fotografie: Giustino Di Gregorio, Peter Ranalli
Per maggiori info vi rimando alla Pagina Facebook di Oblivion

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giovedì 13 giugno 2013

di Unknown

Facebook e la foto censurata di Anastasia Chernyavsky

Anastasia Chernyavsky
Anastasia Chernyavsky è una fotografa freelance di origine russa, amante del bianco e nero e fortemente ispirata negli scatti dai suoi due figli.

In questi giorni spopola sul web una sua foto postata e poi censurata da Facebook. La foto in questione la vede campeggiare completamente nuda, sulla destra la sua primogenita, in braccio suo figlio, sul seno una goccia di latte e al centro dell'inquadratura la sua Rolleiflex. 

Un autoscatto che ha in qualche modo violato i diktat della casa di Cambridge e che parte degli utenti non ha digerito. Ma non serve un occhio esperto o una sensibilità spiccata per coglierne la dolcezza materna e naturale. Così  la foto, nonostante sia stata censurata, è stata ripescata da centinaia di siti ed è riapparsa nel web un po' ovunque. 

A voi la foto e la scelta di mettervi o dalla parte dei Facebook bacchettoni (che lasciano circolare tanta immondizia e si premurano di scartare immagini come questa) o dalla parte di chi legge nello scatto l'esibizionismo e furbizia sconveniente di una madre. O, e questa è l'opzione che vi consiglio di scegliere, potete restarvene in silenzio e non far altro che ammirare questa moderna madre: schietta e poetica, padrona assoluta della propria immagine, sicura e fiera del proprio ruolo di lavoratrice, madre e donna.
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mercoledì 12 giugno 2013

di Unknown

Tutti di corsa alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo!

Ricordate il film del '64 Bande à part di Jean Luc Godard o il più recente The Dreamers di Bernardo Bertolucci? In entrambi i film i tre protagonisti si lanciavano in una corsa tra le sale del Louvre. 


Bande à part (1964)

The Dreamers, (2003)
Ora ad emulare la corsa ci pensa la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, centro per l'arte contemporanea di Torino. Con corsART, la fondazione invita i visitatori a correre liberamente dentro lo spazio espositivo e ad immortalare la loro corsa, per poi inviare gli scatti da condividere nella pagina Facebook della Fondazione. 
Un modo divertente di vivere il museo e combinare tra loro cinema, arte, sport, creatività e fotografia. E tra una corsa e l'altra non dimenticate le mostre in corso.

Care ragazze, non importa se non avete i vostri Garrel e Pitt di The Dreamers o Arthur e Franz di Bande à part, andate e inviate gli scatti a press@fsrr.org

Ecco le prime foto, in pole position non poteva che esserci Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, presidentessa della Fondazione.

corsART, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino
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di Unknown

Cattelan di nuovo sulla scena con Kaputt

Maurizio Cattelan è tornato nuovamente e come sempre a far parlare gli addetti e non del mondo del contemporaneo. La sua opera dal titolo Kaputt, è stata esposta nei pressi di Basilea, proprio alla vigilia della fiera d'arte Art Basel, l'evento che da Venezia sposta l'epicentro dell'arte e del mercato in Svizzera.

In realtà si ha a che fare con una riproposizione, in versione diversa, della sua opera del 2007 Untitled. Cinque cavalli imbalsamati, letteralmente appesi e con le teste conficcate nel muro. L'opera rimarrà esposta alle porte di Basilea, nel museo di arte contemporanea, fino al 6 ottobre prossimo.

Per saperne di più sulla mostra
Fondazione Beyeler
http://www.fondationbeyeler.ch

link foto



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sabato 8 giugno 2013

di Unknown

Louise Nevelson a Palazzo Sciarra, mostra da non perdere per grandi e piccini

Louise Nevelson, foto scattata da Robert Mapplethorpe

Louise Nevelson aveva le idee chiare fin da bambina, da quando in una biblioteca di Rockland, nel Maine, chiesero a lei a alla sua amica cosa sarebbero volute diventare da grandi. Blanche rispose che sarebbe diventata una contabile. La piccola Louise, senza titubanza alcuna, rispose:
 "Sarò un artista, anzi no, sarò uno scultore perché non voglio essere aiutata dal colore"
Louise, alla nascita Leah Berliawsky,  è diventata una scultrice, anzi la madame della scultura della seconda metà del '900. Infaticabile sperimentatrice, votata all'arte in toto, anche nei momenti più bui della sua vita, sarà sempre l'arte la sua migliore amica.

Decisa a non sposarsi, si sposò invece subito dopo aver incontrato Charles Nevelson, matrimonio accettato più per convenienza che per amore, interrotto dopo anni perché più che un marito Charles fu per lei una sorta di socio e lei non aveva bisogno di una società. Dal matrimonio ebbe il suo primo ed unico figlio, Mike.

Indipendente, libera, forte tanto quanto fragile, Louise fu presa a modello anche da esponenti del movimento femminista degli anni '70. Basti pensare che Judy Chicago inserì il suo nome tra quelli delle donne ricordate nella sua installazione The Dinner Party (1974-1979).

Ma Louise Nevelson non sentì mai l'esigenza di proclamarsi femminista, lei fu la liberazione della donna, così, naturalmente. Si sentiva talmente donna e talmente libera da non dover portare i pantaloni. Molto probabilmente fu merito del padre, Isaak Berliawsky, che all'inizio del '900 tenne alla formazione scolastica e culturale per tutti i suoi figli, indifferentemente dal sesso. Più che di femminismo, a cui tra l'altro la critica spesso rimanda, per Nevelson è bene parlare di sensibilità femminile. Sensibilità tutta palesata nel suo modo di lavorare e di interpretare, attraverso il gioco dell'assemblaggio, l'oggetto prelevato dalla vita quotidiana, spesso dall'ambito domestico, salvandolo così dall'oblio.

Le opere di Louise Nevelson, scultrice statunitense ma di origine ucraina, saranno esposte fino al 21 luglio  nella mostra organizzata da Fondazione Roma-Arte-Musei, presso Palazzo Sciarra. Una mostra che racchiude opere dagli anni '30 agli anni '80, corredata da un corpus fotografico che racconta le vicende e il carattere dell'artista. 

L. Nevelson, Homage to the Universe, 1968

Dai piccoli scrigni alle grandi pareti, dalle sculture da tavolo a quelle dall'andamento verticale, tutti i suoi lavori, come castelli, ci raccontano un mondo fatto di ricordi intimi e collettivi, ma anche storie di oggetti in bilico tra passato e presente. Dal nero al bianco e dal bianco all'oro, dai muri alle porte, dai totem alle sculture libere nello spazio, dal piccolo al grande... in tutte le sue sculture/installazioni, la fantasia accumulatrice, l'istintiva capacità compositiva e la poetica dell'assemblaggio inscrivono un percorso ricco di rimandi ed echi.

Mostra da non perdere e per i più piccini non dimenticate gli appuntamenti organizzati da Fondazione Roma-Arte-Musei WorkInProject (qui trovate tutte le info), un modo divertente per avvicinare i bambini al mondo dell'arte contemporanea.

Totem di famiglia, didattica per mostra Louise Nevelson
(Link foto)
Per tutte le altre info sulla mostra clicca qui
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venerdì 7 giugno 2013

di Unknown

Biennale Arte 2013 | Il Palazzo Enciclopedico da Marino Auriti a Massimiliano Gioni [il video e le foto]

MarinoAuriti
e sua moglie
(link foto)
Il 16 novembre 1955 l'artista autodidatta italo-americano Marino Auriti depositava presso l'ufficio brevetti statunitense i progetti per il suo Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell'umanità, collezionando le più grandi scoperte del genere umano, dalla ruota al satellite.

Sarà per la complessità del progetto, o forse per la dolcezza del sogno incompiuto o semplicemente per il fascino dell'utopia, in bilico tra reale e immaginario, che Massimiliano Gioni, il giovane curatore della 55. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, ha cercato la sua ispirazione nell'abruzzese Auriti e nel suo modellino architettonico di 136 piani, intitolando la sua mostra ricerca, per l'appunto, Il Palazzo Enciclopedico.

Marino Auriti,
Palazzo Enciclopedico
Attraversando i vani espositivi dell'Arsenale e dei Giardini, di volta in volta, è come se ci accucciassimo a guardare attraverso le minuscole finestre di celluloide del palazzo di Auriti, e guardassimo dentro con l'irrefrenabile voglia di scrutare, scoprire e forse anche capire. 

Il nipote di Auriti, in un recente articolo, ricorda come da bambino, guardando il modellino realizzato da suo nonno, provasse ogni volta una sorta di indignazione nello scoprire il vuoto dell'interno e l'attesa e la speranza di vedervi un giorno tutte le invenzioni del genere umano, già in perfetto stato di funzionamento, ridotte in scala 1:400.

Gioni, attraverso la Biennale, ha popolato quelle stanze con tutta l'infinita varietà e ricchezza dell'umanità che ha trovato forma, trasformandosi in formule, calcoli, cataloghi, credenze, visioni oniriche e ancestrali, ma soprattutto immagini. 
Immagini reali e immagini del sogno, concrete o potenziali, individuali e collettive, evanescenti e geometricamente concrete, mute e chiassose, provenienti dalla memoria e proiettate dal futuro.
Come il Palazzo di Auriti anche la mostra di Gioni è un involucro ricolmo di immagini. E come il Palazzo di Auriti e il Palazzo di Gioni, anche noi, con tutto il nostro carico di credenze, conoscenze catalogate, immaginazione e pazzia, siamo media, portatori sani di immagini che dentro e fuori di noi si moltiplicano all'infinito.

Massimiliano Gioni

Un percorso che dall'Arsenale ai Giardini e dai Giardini all'Arsenale sembra ribadire che
"non ha senso cercare di costruire un'immagine del mondo, quando il mondo stesso si è fatto immagine" (M. Gioni)
Basta guardare dentro e fuori di noi.

Per chi non ha avuto e non avrà l'opportunità di andare a Venezia per curiosare e meravigliarsi, ecco un reportage fotografico e un video, in cui troverete le opere che più ci hanno colpito ne Il Palazzo Enciclopedico e i commenti di Gioni stesso, beccato nel giorno dell'inaugurazione, mentre passeggiava per l'Arsenale accompagnato e intervistato da una troupe di giornalisti e cameramen.
Da notare come tra un'intervista e l'altra si sia preoccupato perfino di raddrizzare le opere esposte.
Bravo Gioni, 100% Art Curator!





Servizio fotografico: Silvia Lucantoni
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martedì 4 giugno 2013

di Unknown

Biennale Arte 2013 | Francesco Bonami intervista i visitatori della Biennale e nelle librerie esce il suo ultimo libro

Alla Biennale di Venezia si aggirava tra i padiglioni un intervistatore d'eccezione. Trattasi di Francesco Bonami, direttore della cinquantesima Biennale di Arti Visive di Venezia del 2003, quando Massimiliano Gioni, molto probabilmente, era solo un assistente.

Se non conoscete lui personalmente, di sicuro conoscete i suoi libri. Tanto per citarne alcuni: Dopotutto non è brutto, Si crede Picasso...
Almeno tre su cinque di voi lettori avrà sfogliato in libreria Lo potevo fare anch'io della Mondadori, e almeno due dei tre lo hanno comprato. Io sono tra i due che lo hanno acquistato e anche letto. 

Tutti almeno una volta nella vita, davanti a un'opera di arte contemporanea hanno pensato: "Ma come! Questa non è arte! Lo potevo fare anch'io!", e sicuramente in moltissimi lo avranno pensato anche dinanzi alle opere della kermesse veneziana di quest'anno. Ma Bonami, con stile irriverente e divertito, ci aiuta a capire perché un artista è considerato un artista, perché il critico ne santifica uno mentre ne manda all'inferno un altro, perché un'opera d'arte è un'opera d'arte, ma soprattutto perché non è vero che potevamo farlo anche noi.

Qualche tempo fa l'ex iena Pif, per la sua trasmissione "Il Testimone", andò da lui per farsi spiegare l'arte contemporanea e tutto il sistema che gli gira attorno. Come dire, il profano, il non addetto ai lavori, il non intenditore, che va dall'esperto. 
Questa volta, e proprio in occasione della 55. Esposizione internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, la situazione si ribalta e il signor Bonami, uno dei più autorevoli critici e curatori di arte contemporanea, nonché uno dei volti più solari e simpatici del settore, è andato a caccia di persone non addette ai lavori per intervistarle. 

Per vedere l'arte in mostra alla Biennale dal loro punto di vista, Bonami, è andato dal ragazzo al signore più in là con gli anni, dal semplice visitatore appassionato e dal visitatore casuale e sprovveduto di nozioni basilari e per questo forse il più veritiero nei giudizi, perché come scrive Bonami nel citato libro:
 "per godersi un'opera d'arte non occorre essere intenditori, basta avere una mente aperta". 
Noi lo abbiamo seguito per un po', prima di addentrarci nei meandri dei padiglioni. Eccovi le foto e un video che lo vedono impegnato durante le sue gentili quattro chiacchiere con un gruppo di visitatori.





Francesco Bonami in visita a "Il Palazzo Enciclopedico"

Francesco Bonami che intervista i visitatori

Francesco Bonami che intervista i visitatori
Per chi invece ha la fortuna di essere in quel di Milano, ed è un aspirante artista, proprio domani Bonami, di nuovo con Pif, presenterà il suo ultimo libro, uscito nelle librerie il 14 maggio scorso, dal titolo ancora una volta più accattivante che mai: Mamma voglio fare l'artista!

Questa volta a rispondere alle domande ci sarà l'esperto e il non esperto. Scommettiamo che ci sarà da divertirsi? L'appuntamento è al PAC alle ore 19,00. Qui trovate il trailer della presentazione del nuovo libro edito da Electa.


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mercoledì 15 maggio 2013

di Anonimo

Intervista | Il particolare sguardo di Diego Miguel Mirabella

Diego Miguel Mirabella è un giovane artista romano con radici siciliane. Nasce a Enna nel 1988 e successivamente si trasferisce a Roma, dove si diploma all’Accademia di Belle Arti. 
A soli venticinque anni ha già esposto in numerose gallerie e musei di diverse città italiane. Fra un allestimento di una mostra e l’altra sono riuscita a incontrarlo per farci raccontare il suo lavoro.

Partiamo dal presente, l’ultima opera che hai realizzato è stata quella per la nuova galleria romana “Operativa arte contemporanea” all’interno del progetto Il peso della mia luce. Come sei arrivato a concepire il tuo lavoro per questo progetto? 
Due dei lavori presentati per questa mostra sono delle strutture “architettoniche”, come delle pareti piegate, che accolgono rispettivamente una gomma policroma e delle lastre di vetro. Attraverso questo piegarsi si generano alcuni effetti come ad esempio degli angoli bui, degli antri visivi. Quindi nel creare queste pareti lo sguardo è come violato della possibilità di dirigersi verso un orizzonte altro. Lo stesso titolo Un’innaturale indisposizione all’altrove, del più inedito dei lavori presentati, suggerisce questo mio pensiero: noi uomini siamo predisposti per natura a guardare sempre a un altrove e per risolvere uno dei nostri problemi più spinosi poniamo l’ancora su concetti come Dio, l’amore, l’infinito. Insomma categorie non pensabili, utilizzando un termine caro alla filosofia potremmo dire trascendenti. Io sono certo che esiste un modo altro di appropriarsi degli stessi concetti. Non dico rimanendo a casa ma almeno senza dover ogni volta uscire da noi stessi.

D. M. Mirabella, Un'innaturale indisposizione all'altrove,
Installazione, 2013

Potremmo dire che il tuo lavoro si basa su un concetto fondamentale, quello dell’abbassamento dello sguardo. In cosa consiste? 
L’abbassamento dello sguardo è proprio questa mia sorta di paradigma nei confronti di una modalità di affrontare lo sguardo delle cose. Per “abbassamento dello sguardo” intendo “un’innaturale indisposizione all’altrove”. L’uomo è stato abituato da sempre a cercare la verità e soprattutto a cercarla altrove, a compiere come un grande viaggio. Non penso che non sia importante viaggiare ma bisognerebbe sempre riaffermare passo dopo passo quello che può essere la verità, non andarla a cercare lontano ma riconfermare nel percorso il rapporto con noi stessi. Questo concetto sembra semplice ma in verità apre diverse riflessioni sul nostro comportamento, il nostro modo di affrontare gli eventi. Per me guardare è profondamente legato al pensare. Nessuno guarda una cosa senza pensarla. 
Certo poi un pensiero può essere declinato infinite volte. Basta pensare alle grandi poesie d’amore: quante poesie d’amore sono state scritte da quando esiste il genere umano? Tantissime. Eppure ognuna è diversa dall’altra e ognuna è irripetibile e inappuntabile. Per questo conduco questa mia ricerca in modo quasi “schizofrenico”: non seguo un unico ordine formale, utilizzo sempre materiali e forme diverse, il legno, poi la polvere, i piedistalli. Non cerco mai di attenermi alla forma. 
Ho un’idea principale e ho capito che quest’idea può essere espressa in tanti modi. In questo periodo della vita ho usato l’abbassamento dello sguardo. Da poco sto pensando che non esiste solo lo sguardo verso le cose ma anche verso l’altro e questo apre molti scenari. 

I tuoi lavori sono in gran parte caratterizzati dall’elemento della “piega”. Si vede molto bene in una delle tue ultime opere, Degno. Come mai ricorre così spesso? 
Piegare è uno dei modi che abbiamo per mettere in ordine le cose. Quando vogliamo far entrare le lenzuola nel cassetto non possiamo non piegarle. Ma le lenzuola piegate sono sempre lenzuola? Oppure è lo scopo a renderle lenzuola? Per me rimangono tali ma mi rendo anche conto che ogni cosa cambia, i disegni decorativi vengono spezzati, le dimensioni si sfalzano eccetera. Un disegno su carta subisce gli stessi effetti così come la gomma policroma piegata, accolta anch’essa da una lastra di MDF che appare come piegata.

D. M. Mirabella, Degno,
Installazione, 2012
Utilizzi molto spesso dei materiali industriali particolari, il lattice, l’MDF, ci racconti come realizzi concretamente i tuoi lavori?
Io sarei dispostissimo a delegare tutto quello che è l’operare, la manualità dato che personalmente non apprezzo molto l’aspetto tecnico del lavoro. 
Nonostante tutto so fare, e faccio quasi tutto nei miei lavori ma quello appartiene ad una mia attitudine “cinetica”. Insomma, non so stare fermo. 

La tua residenza è all’Ex Lanificio Luciani dove lavori insieme ad altri artisti emergenti e non. Cosa ti ha dato un’esperienza del genere? 
Ormai sono tre anni che sto all’ Ex-Lanificio e sono tre anni che lavoro come assistente dell’artista Pietro Fortuna, con cui ho stretto un forte rapporto amicale. Divido lo studio con Vincenzo Franza e, fino alla sua partenza per Londra, Mauro Vitturini. 
In questi tre anni, noi quattro abbiamo lavorato sempre insieme, come una sorta di comunità particolarmente felice. Nel novembre 2012 alla Temple University a Roma, abbiamo anche fatto una bella mostra insieme che ha confermato il nostro affiatamento. 
È un’esperienza particolare e sempre stimolante. Penso che sia fondamentale per la crescita questo scambio continuo. Il fatto di essere in compagnia significa avere una responsabilità nei confronti dell’altro e questo sembra essere alla base del lavoro di artista. 

A febbraio hai partecipato con il collettivo ArtNoise al Festival della creatività all’Ex Mattatoio del Macro Testaccio. La tua opera in particolare ha ricevuto una menzione speciale, in cosa consisteva? 
Sì esatto, il collettivo curatoriale ArtNoise, sorto dall’omonima, ottima, rivista online, ha realizzato questo progetto dal titolo Ortica. Organic Theme in contemporary art per il Festival delle Creatività. 
Il mio lavoro in particolare è stato curato da Daniela Cotimbo in quanto erano 8 curatrici per 8 artisti. Il lavoro consisteva in una luce sagomata che correva da una parte della stanza all’altra e veniva intercettata dall’alto da sporadiche cadute di polvere. Penso sia stata quella riflessione che non avevo ancora ben assimilato. L’opera consisteva in due elementi già esistenti, la luce e la polvere, di conseguenza io non dovevo apportare niente ma solo sottolinearli. Questi due elementi, da soli, riuscivano a fermare lo sguardo, creavano una sorta di muro, dove lo spettatore si fermava per mettere a fuoco questa pochezza che lo avvolgeva. 
Il progetto Ortica ha poi vinto il premio per le Arti visive e la commissione ha deciso di darmi una menzione speciale per il lavoro presentato. 

D. M. Mirabella, Tutto aperto tutto chiuso,
Installazione, 2013
Successivamente invece hai esposto insieme a Mauro Vitturini a Palazzo Lucarini a Trevi per la mostra Preuspposti per un dialogo inesatto. Cosa avete realizzato per quell’occasione? 
La mostra è stata curata sempre da Daniela Cotimbo e consisteva in un dialogo fra Mauro Vitturini e me, in passato avevamo fatto insieme anche un’altra mostra intitolata Diasige (2011). In questo caso abbiamo rinnovato l’idea e abbiamo messo l’accento su come un dialogo possa essere fondamentalmente valido anche nelle sue inesattezze. È molto bello il video omonimo che abbiamo fatto insieme. Dentro una stanza del museo siamo proiettati ciascuno in un angolo. Mentre io cerco continuamente di dialogare con Mauro lui non risponde se non tramite sottotitoli. 
La curatrice della mostra è stata molto presente e sicuramente partecipe in modo profondo al lavoro finale. Oltre che abile a intercettare nelle nostre così profonde differenze caratteriali un fil rouge inaspettato ma direi presupposto. 

A questo proposito, in base alla tua esperienza, come dovrebbe essere il rapporto fra artista e curatore? 
Non lo so ancora bene, però mi sono reso conto che sicuramente ci deve essere grande sintonia. Il curatore che non ti conosce bene o che non è molto interessato alla costruzione di un’affinità di intenti non ha molto da offrire. 

Domanda inflazionata forse ma in quanto giovane storica dell’arte mi interessa molto: cosa significa per te essere un giovane artista emergente in una realtà come Roma? 
Non so se sia peculiare di Roma ma sento che in questa città mi manca molto lo scambio umano. Non mi piace il fatto di non scambiarsi idee e opinioni con altri artisti. Mi trovo sempre di più a rapportarmi con curatori, critici o comunque persone che si occupano di arte ma dall’altra parte. Io invece amerei tantissimo capire cosa pensano gli altri artisti. 

Ci puoi annunciare in anteprima nuovi progetti o nuove collaborazioni? 
Anche se in questo momento ho diverse idee per la testa, vorrei prendermi un periodo per rinnovarmi. Ho bisogno di mettermi a pensare, riflettere su quello che ho realizzato, anche per non sottostare a una sorta di bulimia produttiva.

Vi invitiamo a visitare il sito di Diego Miguel Mirabella
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lunedì 13 maggio 2013

di Unknown

Biennale Arte | I nomi e i volti della Giuria Internazionale della 55. Esposizione Internazionale d'Arte

Il Cda della Biennale di Venezia ha nominato la Giuria Internazionale della 55. Esposizione Internazionale d'Arte. Eccovi nomi, info e foto dei giurati che avranno l'arduo compito di assegnare i  due Leoni d'oro ed il Leone d'argento di quest'anno. La premiazione avrà luogo il 1 giugno, presso i Giardini della Biennale.



Jessica Morgan (Presidentessa di giuria) è Daskalopoulos Curator, International Art, alla Tate di Londra. Ha organizzato numerose mostre collettive e personali alla Tate Modern ed è stata capo curatrice all'Institute of Contemporary Art di Boston.

Sofía Hernández Chong Cuy è capo curatrice della 9a. Bienal do Mercosul in Porto Alegre in Brasile e curatrice per l'arte contemporanea della Colección Patricia Phelps de Cisneros, che ha sede a New York e Caracas. È stata Direttore del Museo Tamayo a Mexico City, di Art in General e dell'Americas Society, entrambe istituzioni con sede a New York.





Francesco Manacorda è stato Direttore di Artissima a Torino e curatore al Barbican Art Gallery di Londra. Recentemente è stato nominato Direttore Artistico della Tate di Liverpool. Ha inoltre curato il Padiglione sloveno della 52. Esposizione Internazionale d’Arte e quello della Nuova Zelanda durante la 53. Esposizione Internazionale d’Arte.


Bisi Silva è una curatrice indipendente. Ha fondato il Centre for Contemporary Art a Lagos in Nigeria, istituzione di cui è anche Direttore. Ha inoltre co-curato la 7. Biennale di Dakar e la 2. Biennale di Arte Contemporanea di Thessaloniki in Grecia. Silva scrive per testate internazionali d'arte tra cui Agufon, Artforum, Art Monthly, Metropolois M, Untitled, eThird Text. È parte del board editoriale di N Paradoxa, un giornale internazionale di arte femminista.

Ali Subotnick è curatrice presso l'Hammer Museum di Los Angeles. Recentemente ha co-curato la prima biennale d'arte di Los Angeles, Made in L.A 2012. Ha co-curato la 4. Berlin Biennal for Contemporary Art con Massimiliano Gioni e Maurizio Cattelan. Subotnick ha scritto su varie riviste di arte tra cui Frieze, Parkett, ARTnews e ArtReview.
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lunedì 22 aprile 2013

di Unknown

VideoPost | Un talk al MACRO per il nuovo lavoro di Luca Trevisani

Nell’ambito del programma Artisti in residenza, mercoledì 17 aprile 2013 presso la Sala Cinema, il MACRO ha presentato il talk di Luca Trevisani, uno degli artisti italiani di ultima generazione più interessante. Il suo lavoro spazia dalla scultura al video, fino a discipline come le arti performative, la grafica, il design, il cinema di ricerca e l’architettura.

Durante il talk, a pungolare l’artista, sono intervenuti Claudia Gioia, curatrice della sua recente mostra presso la galleria Valentina Bonomo di Roma, e l’artista visivo Italo Zuffi.

Trevisani, dopo un’attenta riflessione sul suo lavoro, sempre ricco di echi e suggestioni, ha presentato al pubblico il progetto filmico che sta ultimando durante la residenza al MACRO. Protagonista è l’acqua e le sue trasformazioni.

Nel video che segue troverete nella prima parte il talk e nella seconda la presentazione in anteprima del lavoro (dal 27° minuto in poi).






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giovedì 4 aprile 2013

di Unknown

Se non pagate mi riprendo la scultura!

Il fattaccio ruota attorno ad una bella scultura  intitolata Nuovo ciclista, posizionata sul lungomare sud di Giulianova. Una scultura, una bici, realizzata dall'artista Gloria Sulli che nel 2009 partecipò al concorso dedicato a Venanzo Crocetti, organizzato in occasione del centenario del Futurismo. 


Il giorno dell'inaugurazione della scultura il sindaco dichiarò che l'opera consacrava la cultura ciclabile su cui l'Amministrazione stava puntando. Tutte parole al vento, considerando che, trascorsi da allora più di tre anni, la scultura risulta ancora non pagata; nonostante le sollecitazioni dell'associazione Piazza Dante al comune giuliese. 
E l'artista pescarese che fa? Puf... fa sparire nottetempo la scultura, caricandola su un furgoncino durante la pasquetta. A documentare il tutto la foto del piedistallo ormai vuoto.

link foto 
Anche se il gesto a nostro parere sarebbe stato più che giusto...trattasi solo di semplice pesce d'aprile: la foto è frutto di un fotomontaggio e poco dopo l'associazione svela che in realtà la scultura non è mai stata smossa dalla sua base.
Come dire: "Se non pagate mi riprendo la scultura!"

Ma possibile che sulla costa abruzzese le sculture non hanno mai vita facile? O, nonostante siano state fatte a regola d'arte, non vengono pagate (caso Gloria Sulli a Giulianova), o,  pur essendo state pagate cifre esorbitanti, all'improvviso e imprevedibilmente, vanno letteralmente in frantumi (caso calice di Toyo Ito in piazza Salotto a Pescara).

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venerdì 15 marzo 2013

di Unknown

VideoPost | Intervista a Hugues Roussel


Hugues Russel è un fotografo francese, che oggi vive e lavora a Roma. Abbiamo partecipato al vernissage della sua ultima mostra presso l'Artothèque de RomeNon ci siamo fatti scappare l’opportunità di fargli qualche domanda sul suo lavoro e sui prossimi progetti. Ecco cosa Hugues ci ha raccontato e un video della mostra in corso, in cui una serie di scatti in bianco e nero ci raccontano il fascino dell'antico e selvaggio paesaggio di Gozo, l'isola sorella di Malta.


H. Roussel, Gozo, #1, 2011
(courtesy of the artist)
Cominciamo dal tuo ultimo lavoro: Gozo. Rappresenta la terza tappa di un progetto più ampio intitolato Inverse Landscape. Com’è nato il progetto e in cosa consiste?
L'inizio è nato a Roma, durante la campagna elettorale che ha visto Alemanno vincere. Volevo raccontare questo periodo strano della mia città come non l'avevo ancora fatto. Poco dopo ho avuto l'opportunità di esporre a New York e ho deciso di proseguire con questo approccio, dando vita all'idea del progetto: fare dei ritratti di luoghi fotografando certi elementi che lo caratterizzano (architettura, gente, natura, dettagli urbanistici, materie, etc.) come se fossero un prisma per guardarli. L'uso del negativo è essenziale perché la sbarra che separa i fotogrammi entra a far parte dell'immagine, diventa un elemento della composizione e ci ricorda che siamo di fronte a una vera impronta luminosa.

Cos’è che ti spinge a fotografare un luogo piuttosto che un altro?
Prima di tutto c'è senza dubbio la curiosità e il piacere di scoprire dei luoghi nuovi. Poi ci sono anche gli elementi “tecnici” per riuscire a fare questo lavoro: la luce (ho bisogno di tanto sole) e la durata della permanenza (almeno due settimane sul posto).

Inverse Landscape ha visto protagoniste tre diverse dimensioni urbane: Roma, New York e Gozo. Cos'è rimasto in te di questi tre luoghi?
Tante cose: incontri con delle persone del posto, rumori, odori, e tante altre immagini non scattate, ma segnate come tali nella mia memoria.

Ci dici qualcosa di più riguardo la particolare tecnica di stampa che utilizzi?
Non è molto particolare nel senso che stampo i negativi che ho, tutto parte da lì. Uso la stampa analogica in quanto stampa tradizionale o “artigianale” perché mi piace produrre il lavoro con le mie mani. Stampando cosi, ogni fotografia è un po' diversa dall'altra, quindi unica...

H. Roussel, Gozo, #7, 2011
(courtesy of the artist)
Tutte le tue foto giocano con la sovrapposizione di strati su strati, ora evanescenti ora più marcati, che cercano di raccontarci un luogo, un tempo, una persona, un’azione. Ci sveli qualcosa riguardo questa poetica?
Unire sul negativo due scatti significa unire due soggetti diversi o due tematiche diverse. In più aggiungo la casualità (una costante nel mio lavoro) per ottenere da queste due realtà un’immagine che fa riflettere, evoca, suggerisce, che bussa alla porta dell'immaginario. In altri tempi il Surrealismo ci ha aperto questa porta e, oggi più che mai, abbiamo bisogno di portare uno sguardo poetico/critico sulla realtà, uno sguardo che ci riporta anche allo spazio dei sogni dove finisce l'impossibile e dove può cominciare l'utopia.

Ora andiamo un po’ più sul personale. Quand’è nata la passione per la fotografia e quando hai capito di non poterne più fare a meno?
Questa passione è nata nel ‘97 quando per sbaglio utilizzai due volte una pellicola. Prima avevo già fotografato dei viaggi, ma non ero ancora “appassionato”. Dal 97 fino al 2003 ho lavorato contemporaneamente alla pittura, fotografia, disegno, video... Nel 2003, dopo la nascita del mio secondo figlio, ho deciso di concentrarmi sulla fotografia. Da autodidatta avevo ancora tanto da scoprire... e la passione era diventata davvero grande...

Qual è la prima cosa che ti viene in mente che vorresti fotografare ma che per un motivo o per un altro ancora non sei riuscito a fotografare?
Non ce n'è solo una!!! Sono tante, quanto tutti i paesi del mondo, tutte le etnie, paesaggi, città e villaggi che esistono sulla Terra. Purtroppo mi mancano i soldi e forse qualche vita in più per riuscirci.

Prossimi progetti fotografici e occasioni espositive?
I prossimi progetti sono legati a sperimenti che riprenderò presto in laboratorio: dopo sette anni senza, sto rimettendo su la mia camera oscura... La prossima mostra si farà a Roma, a giugno, alla Galleria Gallerati.



Per maggiori info sull'artista Hugues Roussel

Per maggiori info sulla mostra Artothèque
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sabato 2 marzo 2013

di Unknown

VideoPost | Winter, un'audiovideoinstallazione del collettivo Triac

Triac, Winter
Presso la Galleria Gallerati di Roma abbiamo avuto il piacere di conoscere i componenti del collettivo Triac, un trio di musica elettronica, minimalista e ambientale, nato alla fine del 2011 e composto da Rossano Polidoro (ex Tu m', Line USA), Marco Seracini e Augusto Tatone. La loro ricerca mira a creare installazioni audiovisuali, sperimentando la relazione tra spazio ed elementi naturali.

Sabato scorso la Galleria Gallerati, con la curatela di Noemi Pittaluga,  ha ospitato Winter, una video installazione dei Triac. Uno schermo blu con impercettibili micro cambiamenti visivi. Come scritto nel comunicato stampa,  "Winter è una piega del nostro cervello, una nicchia mentale, un groviglio psichico in cui le coordinate spaziali sono perdute".

Per saperne di più riguardo la ricerca portata avanti dal collettivo eccovi una breve intervista a Marco Seracini, uno dei Triac (www.triac-act.com).

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martedì 19 febbraio 2013

di Unknown

Da Alviani Art Space la contemporaneità che viviamo e i mendicanti della nuova generazione

Da Alviani Art Space, lo spazio di ricerca e sperimentazione sul contemporaneo all'interno dell'Aurum di Pescara e a cura di Lucia Zappacosta, ha inaugurato sabato scorso la seconda mostra della stagione espositiva. 
La collettiva dal titolo (Con)temporary shop, ideas for sale, a cura di Stefano Verri e realizzata in collaborazione con Sponge Arte Contemporanea, vede la partecipazione di sei artisti che indagano la contemporaneità che viviamo. E' una mostra fatta di ossessioni e false credenze travestite da brand, fatta di dipendenze da tempi altrui a cui rispondono proposte di potenziali vie d'uscita.


La mostra è un concentrato di idee che se da un lato smascherano, dall'altro offrono ricette salva vita.
Smascherano le contraddizioni su cui impostiamo la nostra quotidianità, gli artisti Giovanni Presutti, Rita Soccio e Hisako Mori.

G. Presutti, Dependency #15,
fotografia digitale, Dibond, 2011
courtesy Collezione Tartaglione
Giovanni Presutti con la sua serie Dependency, restituisce l'immagine di un'umanità perennemente narcotizzata dalle proprie debolezze. Dell'intera serie in questa mostra troviamo la foto con i due anziani coniugi seduti di spalle in salotto, muniti di cuffie. L'impostazione simmetrica dell'immagine esalta la passività dei due anonimi personaggi, completamente e totalmente catturati dalla propria e personalissima televisione. 

R. Soccio, Costituzione,
stampa fotografica lampda su dibond, 2009
courtesy Galleria Marconi / Cupra Marittima
Rita Soccio presenta un'opera di qualche anno fa ma ancora molto attuale, considerando le recenti affermazioni politiche riguardo la Costituzione. L'artista, servendosi del marketing e dei suoi meccanismi accattivanti, ce ne offre un assaggio, riproponendoci articoli scritti a mo' di frasi smielate alla Federico Moccia (uno degli autori italiani scelti dalla nota casa dolciaria). Al fruitore dell'opera non resta che assaporare il lato contraddittorio e amaro del senso.

H. Mori, è la mia metà,
installazione, origami, 2012,
courtesy Quattrocentometriquadri gallery /Ancona
Al centro della galleria è sospesa la borsetta origami di Hisako Mori, che alla funzione solita dell'acquisto sostituisce un momento di auto-riflessione. Intima e personale tramite un fondo specchiante all'interno della borsetta; ironica e universale attraverso l'utilizzo di riviste (italiane per l'esterno, giapponesi per l'interno), simbolo di mancata integrazione culturale.

Rispondono con modelli di vita probabili le opere di Paolo Angelosanto e Giovanni Gaggia che con For love only for love e Ali squamose, opere d'arte ricamate, optano per una velocità più slow e quindi meditativa per il futuro. Angelosanto durante una performance ha ricamato un cuore su una camicia della linea di moda di John Malcovich e in mostra ne ritroviamo il prodotto: la camicia con il cuore, incorniciata come "una reliquia della contemporaneità". Gaggia invece utilizza la stessa tecnica e lo stesso soggetto su una tela di lino bianca ma all'azione del singolo sostituisce l'azione collettiva di un intero paesino abruzzese (Sant'Omero).

P. Angelosanto, For love only for love,
ricamo su camicia di John Malkovich,, 2012
courtesy Rossmut / Roma
G. Gaggia, Ali squamose,
 ricamo su lino, 2009,
Courtesy Factory-Art gallery / Berlino
L'escamotage risolutivo, per far fronte a tutte le paure concrete regalateci dalla società moderna (crisi, default, spread...), è dato però dall'opera di Jukuki. L'artista partendo dall'Hobo americano, il senzatetto per scelta che non disdegna lavori occasionali, ipotizza e realizza un kit di sopravvivenza fatto con stile, brandizzando di fatto crisi e povertà. L'artista propone una comoda postazione dove inginocchiarsi per elemosinare aiuto tramite una serie di cartelli prodotti su supporti rigidi, colorati, resistenti e leggeri, con un design innovativo ed originale. Il tutto accompagnato da frasi ad effetto scritte da utenti del web.  
Durante la serata inaugurale già in molti hanno provato l'ebbrezza realistica del mendicante contemporaneo, rendendo la postazione una vera e propria installazione - performance fruibile da tutti. D'altronde siamo o non siamo tutti sulla stessa barca? Poveri si, ma con stile...

Jukuki, Be Hobo / poveri con stile,
installazione, 2013
www.behobo.it

Mostra da non perdere! 
Per maggiori info Alviani Art Space.
Se anche tu vuoi essere un Hobo contemporaneo www.behobo.it
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giovedì 14 febbraio 2013

di Unknown

VideoPost | Dai sistemi di classificazione scientifica alla micologia visionaria di Salvatore Arancio

Presso la Federico Schiavo Gallery (Roma) è in corso una mostra che indaga in maniera inedita il mondo della micologia e più in generale dei sistemi di classificazione scientifica. Ma l'artista in questione, Salvatore Arancio, con questa mostra intitolata The Little Man of the Forest With the Big Hat, va oltre l'apparenza e ne fa trasparire, mediante giochi scultorei e composizioni ardite, i risvolti inaspettatamente folli, maniacali e visionari.

S. Arancio,The Little Man of the Forest with the Big Hat, 2012, 
five glazed ceramics, gouaches on printed paper, perspex, painted MDF, giclée print on canvas
(
photo by Giorgio Benni, courtesy Federica Schiavo Gallery, Roma)
La mostra ruota attorno all'omonima installazione scultoreaprogettata e realizzata dall'artista nel 2012 a Faenza, in occasione della residenza presso il Museo Carlo Zauli. Ceramiche in bianco e nero lucente riproducono le forme di insoliti funghi velenosi, che ritroviamo anche in  illustrazioni di schede di classificazione rubate dai libri di micologia.

La manipolazione e la distorsione di forme e catalogazioni precise inducono la ricerca verso l'altra faccia della medaglia, dove la rigida classificazione dilaga in volontà maniacale. Stessa ambivalenza si rintraccia nelle proprietà benefiche e allucinogene del fungo.

S. Arancio, Bird, 2012,
looped video for projection,
(
photo by Giorgio Benni, courtesy Federica Schiavo Gallery, Roma)
Salvatore Arancio presenta anche un video, Bird, girato in Super 8 all'interno del Museo di Zoologia di Bologna. L'indagine qui si concentra sulle collezioni ornitologiche, in particolare quella della prima metà del secolo di Zaifagnini- Bertocchi. Alla manipolazione scultorea si sostituisce la manipolazione della ripresa lenta e ambigua, che ancora una volta mostra al fruitore l'aspetto più visionario insito nella nel rigore dell'azione catalogatrice. Ruolo fondamentale in questo senso è dato anche al suono che accompagna il film, Expo 70, progetto musicale di culto di Kansas City.

S. Arancio, View of The Little Man of the forest with the big hat, 2013
mixed media, installation view,
(
photo by Giorgio Benni, courtesy Federica Schiavo Gallery, Roma)
Nella terza ed ultima sala le relazioni natura/scienza si palesano più chiaramente, tramite giochi illustrativi e l'esposizione di una nuova scultura, realizzata durante una residenza d'artista presso l'European Ceramic Workcentre di 's-Hertogenbosch (Paesi Bassi).

Mostra da non perdere, in corso fino al 16 marzo.
Nel frattempo eccovi un video


Per maggiori info Federica Schiavo Gallery
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mercoledì 13 febbraio 2013

di Unknown

Piante su piante, garden project di Michele Guido

Garden Project, la mostra in corso presso Z20 Galleria | Sara Zanin, comprende una serie di lavori site specific nati dalla ricerca di Michele Guido, artista da sempre interessato a svelare visivamente il rapporto tra natura e spazio architettonico. 

M. Guido, michele guido_02.02.13_garden project Installation view,
©Michele Guido courtesy z2o Galleria | Sara Zanin, Photo credits: Michele Guido

Una similitudine palesata in maniera geometrica, mediante proiezioni ortogonali e sovrapposizioni  di piante su  piante. Le prime botaniche, le seconde architettoniche. 

M.Guido, lotus garden project #03 2013, Installation view,
©Michele Guido courtesy z2o Galleria | Sara Zanin, Photo credits: Michele Guido

Lotus Garden project# 05_Raphael Urbinas 1504_2011 è un'opera recente che mette in relazione la nervatura di una foglia di loto con il tempio sullo sfondo de Lo sposalizio della Vergine di Raffello e quindi anche con il Tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante.

M. Guido, Studio Lotus Garden Project #05_Raphael Urbinas 1504_2011, 
©Michele Guido courtesy z2o Galleria | Sara Zanin Photo credits: Michele Guido
L'intera galleria è poi trasformata in una sorta di giardino: le pareti e il soffitto della sala principale divengono supporto di macro fotografie di foglie di loto e dimora di piante della famiglia dell'euphorbia. Un esemplare dalle foglie strette e oblunghe spunta dall'alto con tutto il suo peso leggiadramente invadente.


M. Guido, michele guido_02.02.13_garden project, 2013 Installation view,
©Michele Guido courtesy z2o Galleria | Sara Zanin, Photo credits: Michele Guido
L'evocazione prospettica e analitica delle due forme prese in esame visivamente, si compone e scompone continuamente, si concretizza e nello stesso istante si fa evanescente. Il fruitore ottiene così la piena percezione di uno spazio organico e geometricamente perfetto, che rimane però irreale e impalpabile. 

La mostra sarà visitabile fino al 16 marzo.

Per maggiori info Z2O Galleria | Sara Zanin

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