lunedì 30 dicembre 2013

di Anonimo

Pollock e Warhol: due americani a Palazzo

Andy WarholSilver Coke Bottles, 1967
Collezione Brant Foundation
© The Brant Foundation, Greenwich (CT), USA
 © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2013

Prosegue per tutto il periodo natalizio (e oltre) il fitto cartellone di Autunno Americano, rassegna che vede l’America temporaneamente trasferita a Milano. La sede di Palazzo Reale ospita le due retrospettive chiave di questa grande iniziativa: la prima dedicata ai vent’anni e più di Espressionismo Astratto, con il noto gruppo degli artisti irascibili (Jackson Pollock schierato in prima fila), per proseguire poi al piano superiore con una riuscita rilettura dell’immensa produzione di Andy Warhol
Due esposizioni che paiono contagiarsi senza soluzione di continuità; ma è bene partire dall’inizio, per la precisione dal 20 maggio 1950. 
Data così la lettera aperta indirizzata al direttore del Metropolitan Museum Roland L. Redmond, firmata da quindici artisti (gli stessi immortalati da Nina Leen nel famoso scatto che li vede vestiti da banchieri) per protestare contro l’esclusione degli espressionisti astratti da una mostra sulla pittura americana contemporanea. Il primo vero movimento artistico targato USA si fa strada, e siamo di fronte a un cambiamento reale e irrevocabile, una novità di linguaggio che andrà affermandosi nel panorama artistico americano e mondiale.

Jackson PollockNumber 27, 1950
Olio, smalto e pittura di alluminio su tela, 124,6 x 269,4 cm
© Jackson Pollock by SIAE 2013
© Whitney Museum of American Art

La mostra a Palazzo Reale, curata da Carter E. Foster e Luca Beatrice, dispiega oltre 49 capolavori provenienti dalla collezione del Whitney Museum of American Art, con il riuscito progetto di presentare contenuti e mezzi espressivi di ben diciotto artisti, permettendo al pubblico di rintracciare facilmente la storia di questo ventennio artistico.

Il primo incontro è con Jackson Pollock, di cui è esposto tra gli altri il più famoso Number 27 (1950) accanto ad alcune proiezioni video firmate Hans Namuth che ne documentano l’intimo momento di realizzazione dell’opera; si intravedono le scarpe gocciolate di vernice, i movimenti circolari e spontanei che guidano l’artista come stesse danzando assieme al colore sulle grandi tele stese a pavimento. Il pubblico è chiamato all’interno di questo affascinante processo creativo, al punto da potersi sdraiare su un divano circolare e rimanere a pancia in su, mentre lungo il soffitto scorrono le riprese dal basso di un Pollock impegnato a dipingere su un piano trasparente. 

Si procede oltre per incontrare le spatolate di colore di Hans Hofmann, i monocromi di Mark Rothko, le pennellate più liquide di Willelm de Kooning, l’alfabeto in linee di Barnett Newman, i neri di Franz Kline, le corposità di Theodoros Stamos o ancora le colorate gocciolature su bianco di Sam Francis. Una mostra – dossier dispiegata nelle forme della partecipazione, per cui a percorso concluso si ha come la sensazione di aver rivissuto una storia, di esserci stati per davvero.

Hans HofmannOrchestral Dominance in Yellow, 1954
Olio su tela, 122,2 x 152,7 cm
© Hans Hofmann by SIAE 2013
© Whitney Museum of American

Nel 1949, dopo aver conseguito la laurea in Fine Arts, uno squattrinato Andrew Warhola si trasferisce a New York, sperimentando la tecnica del blotted line come nuovo strumento di riproduzione seriale e cambiando definitivamente nome in Andy Warhol
In questo piano di mostra si abbandonano le urgenze emotive degli espressionisti astratti per immergersi nella comunicazione popolare di questo straordinario talento del secolo scorso. Curata dal collezionista Peter Brant, con la collaborazione di Francesco Bonami, la mostra apre al pubblico le infinite sfumature del pensiero e della produzione di Warhol, con un allestimento che regala la preziosa occasione d’incontro con 160 opere firmate dall’artista, dalle più note e iconiche alle meno conosciute. 

Si inizia con la serie dei collage in foglia d’oro, i disegni e gli inchiostri degli anni Cinquanta e le serigrafie su tela (Mona Lisa, la serie Twelve Electric Chairs, la famosa Shot Light Blue Marylin), per proseguire con le lattine Campbell degli anni Sessanta, la serie dei Flowers e gli scatti fotografici degli anni Settanta; o ancora la serie dei Mao, degli Skulls, un esempio di dipinto a ossidazione (con simulazione del dripping alla Pollock) per concludere con la grande Ultima Cena datata 1986 ed esposta l’anno successivo proprio a Milano.

Andy WarholBlue Shot Marilyn, 1964
Collezione Brant Foundation
© The Brant Foundation, Greenwich (CT), USA
 © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2013


Nome usato e abusato, quello di Warhol, viene qui finalmente riavvolto per essere poi dispiegato (e spiegato) al pubblico in forme semplici e curate. Se ne colgono immancabilmente il genio, la stravaganza e il gesto meccanico della produzione in serie. L’immagine cessa per la prima volta di essere unica per diventare inequivocabilmente accessibile. Consumabile come una lattina di zuppa o una bottiglietta di Coca Cola, l’arte diventa democraticamente per tutti. 
E’ un viaggio attraverso le superfici, in un racconto che anticipa in modo stupefacente la comunicazione mediatica a noi contemporanea. “Siamo per le forme piatte perché distruggono l’illusione e rivelano la realtà”, scrivevano gli espressionisti astratti in una lettera pubblicata nel 1943 sul New York Times. Con Andy Warhol si apre definitivamente a una dimensione piana, serigrafica, coloratissima e semplice, che fa della superficie l’unica realtà davvero possibile.
Buona visita!

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1 commento:

Unknown ha detto...

Le mani di Gesù dipinte da Leonardo nel Cenacolo, uniche nel dipinto, una con la palma verso il basso e l’altra verso l’altro indicano che Gesù era ambidestro come naturalmente era Leonardo e in parte Michelangelo Buonarroti? Non a caso Andy Warhol, genio anche lui, riprodusse, oltre il Cenacolo, serialmente la Gioconda e Marilyn che richiamano lo stesso volto archetipo. Il genio sente il genio. Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.