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martedì 4 giugno 2013

di Unknown

Biennale Arte 2013 | La Biennale secondo Camille Henrot, Leone d'Argento come miglior artista promettente

Camille Henrot

Due anni fa il Leone d'Argento come Miglior Artista della Biennale di Venezia andò ad Haroon Mirza, con le sue installazioni ritmico sonore. Quest'anno, nell'edizione de Il Palazzo Enciclopedico, targata Gioni, il premio è stato meritatamente assegnato alla francese Camille Henrot, 34 anni, capelli di un biondo medievale (così scrive Le Figaro). Dal suo sguardo e dal suo modo di concedersi alla stampa internazionale si evinceva emozione ma soprattutto sorpresa. Nella sua camicia di seta color Arlecchino era accompagnata dal partner francese Joakim Bouaziz, a lui il merito della colonna sonora del video premiato.
  
Camille Henrot

Camille Henrot

Grosse Fatigue, questo il titolo del video, concentra in 13 minuti  la storia dell'evoluzione dell'universo, attraverso immagini pop-up e in loop. E' un continuo aprirsi di finestre, un video libro che racconta come il mondo sia stato creato dal nulla, poi popolato da una moltitudine a cui fa da contraltare un'inevitabile solitudine per poi concludersi con la morte. Una sorta di libro della Genesi contemporanea, frutto di un progetto di ricerca per lo Smithsonian Institute.

Subito dopo la premiazione le abbiamo chiesto cosa pensava riguardo la Biennale. Eccovi il video 



Per saperne di più riguardo l'artista vi consigliamo http://www.camillehenrot.fr/fr/biographie
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mercoledì 15 maggio 2013

di Anonimo

Intervista | Il particolare sguardo di Diego Miguel Mirabella

Diego Miguel Mirabella è un giovane artista romano con radici siciliane. Nasce a Enna nel 1988 e successivamente si trasferisce a Roma, dove si diploma all’Accademia di Belle Arti. 
A soli venticinque anni ha già esposto in numerose gallerie e musei di diverse città italiane. Fra un allestimento di una mostra e l’altra sono riuscita a incontrarlo per farci raccontare il suo lavoro.

Partiamo dal presente, l’ultima opera che hai realizzato è stata quella per la nuova galleria romana “Operativa arte contemporanea” all’interno del progetto Il peso della mia luce. Come sei arrivato a concepire il tuo lavoro per questo progetto? 
Due dei lavori presentati per questa mostra sono delle strutture “architettoniche”, come delle pareti piegate, che accolgono rispettivamente una gomma policroma e delle lastre di vetro. Attraverso questo piegarsi si generano alcuni effetti come ad esempio degli angoli bui, degli antri visivi. Quindi nel creare queste pareti lo sguardo è come violato della possibilità di dirigersi verso un orizzonte altro. Lo stesso titolo Un’innaturale indisposizione all’altrove, del più inedito dei lavori presentati, suggerisce questo mio pensiero: noi uomini siamo predisposti per natura a guardare sempre a un altrove e per risolvere uno dei nostri problemi più spinosi poniamo l’ancora su concetti come Dio, l’amore, l’infinito. Insomma categorie non pensabili, utilizzando un termine caro alla filosofia potremmo dire trascendenti. Io sono certo che esiste un modo altro di appropriarsi degli stessi concetti. Non dico rimanendo a casa ma almeno senza dover ogni volta uscire da noi stessi.

D. M. Mirabella, Un'innaturale indisposizione all'altrove,
Installazione, 2013

Potremmo dire che il tuo lavoro si basa su un concetto fondamentale, quello dell’abbassamento dello sguardo. In cosa consiste? 
L’abbassamento dello sguardo è proprio questa mia sorta di paradigma nei confronti di una modalità di affrontare lo sguardo delle cose. Per “abbassamento dello sguardo” intendo “un’innaturale indisposizione all’altrove”. L’uomo è stato abituato da sempre a cercare la verità e soprattutto a cercarla altrove, a compiere come un grande viaggio. Non penso che non sia importante viaggiare ma bisognerebbe sempre riaffermare passo dopo passo quello che può essere la verità, non andarla a cercare lontano ma riconfermare nel percorso il rapporto con noi stessi. Questo concetto sembra semplice ma in verità apre diverse riflessioni sul nostro comportamento, il nostro modo di affrontare gli eventi. Per me guardare è profondamente legato al pensare. Nessuno guarda una cosa senza pensarla. 
Certo poi un pensiero può essere declinato infinite volte. Basta pensare alle grandi poesie d’amore: quante poesie d’amore sono state scritte da quando esiste il genere umano? Tantissime. Eppure ognuna è diversa dall’altra e ognuna è irripetibile e inappuntabile. Per questo conduco questa mia ricerca in modo quasi “schizofrenico”: non seguo un unico ordine formale, utilizzo sempre materiali e forme diverse, il legno, poi la polvere, i piedistalli. Non cerco mai di attenermi alla forma. 
Ho un’idea principale e ho capito che quest’idea può essere espressa in tanti modi. In questo periodo della vita ho usato l’abbassamento dello sguardo. Da poco sto pensando che non esiste solo lo sguardo verso le cose ma anche verso l’altro e questo apre molti scenari. 

I tuoi lavori sono in gran parte caratterizzati dall’elemento della “piega”. Si vede molto bene in una delle tue ultime opere, Degno. Come mai ricorre così spesso? 
Piegare è uno dei modi che abbiamo per mettere in ordine le cose. Quando vogliamo far entrare le lenzuola nel cassetto non possiamo non piegarle. Ma le lenzuola piegate sono sempre lenzuola? Oppure è lo scopo a renderle lenzuola? Per me rimangono tali ma mi rendo anche conto che ogni cosa cambia, i disegni decorativi vengono spezzati, le dimensioni si sfalzano eccetera. Un disegno su carta subisce gli stessi effetti così come la gomma policroma piegata, accolta anch’essa da una lastra di MDF che appare come piegata.

D. M. Mirabella, Degno,
Installazione, 2012
Utilizzi molto spesso dei materiali industriali particolari, il lattice, l’MDF, ci racconti come realizzi concretamente i tuoi lavori?
Io sarei dispostissimo a delegare tutto quello che è l’operare, la manualità dato che personalmente non apprezzo molto l’aspetto tecnico del lavoro. 
Nonostante tutto so fare, e faccio quasi tutto nei miei lavori ma quello appartiene ad una mia attitudine “cinetica”. Insomma, non so stare fermo. 

La tua residenza è all’Ex Lanificio Luciani dove lavori insieme ad altri artisti emergenti e non. Cosa ti ha dato un’esperienza del genere? 
Ormai sono tre anni che sto all’ Ex-Lanificio e sono tre anni che lavoro come assistente dell’artista Pietro Fortuna, con cui ho stretto un forte rapporto amicale. Divido lo studio con Vincenzo Franza e, fino alla sua partenza per Londra, Mauro Vitturini. 
In questi tre anni, noi quattro abbiamo lavorato sempre insieme, come una sorta di comunità particolarmente felice. Nel novembre 2012 alla Temple University a Roma, abbiamo anche fatto una bella mostra insieme che ha confermato il nostro affiatamento. 
È un’esperienza particolare e sempre stimolante. Penso che sia fondamentale per la crescita questo scambio continuo. Il fatto di essere in compagnia significa avere una responsabilità nei confronti dell’altro e questo sembra essere alla base del lavoro di artista. 

A febbraio hai partecipato con il collettivo ArtNoise al Festival della creatività all’Ex Mattatoio del Macro Testaccio. La tua opera in particolare ha ricevuto una menzione speciale, in cosa consisteva? 
Sì esatto, il collettivo curatoriale ArtNoise, sorto dall’omonima, ottima, rivista online, ha realizzato questo progetto dal titolo Ortica. Organic Theme in contemporary art per il Festival delle Creatività. 
Il mio lavoro in particolare è stato curato da Daniela Cotimbo in quanto erano 8 curatrici per 8 artisti. Il lavoro consisteva in una luce sagomata che correva da una parte della stanza all’altra e veniva intercettata dall’alto da sporadiche cadute di polvere. Penso sia stata quella riflessione che non avevo ancora ben assimilato. L’opera consisteva in due elementi già esistenti, la luce e la polvere, di conseguenza io non dovevo apportare niente ma solo sottolinearli. Questi due elementi, da soli, riuscivano a fermare lo sguardo, creavano una sorta di muro, dove lo spettatore si fermava per mettere a fuoco questa pochezza che lo avvolgeva. 
Il progetto Ortica ha poi vinto il premio per le Arti visive e la commissione ha deciso di darmi una menzione speciale per il lavoro presentato. 

D. M. Mirabella, Tutto aperto tutto chiuso,
Installazione, 2013
Successivamente invece hai esposto insieme a Mauro Vitturini a Palazzo Lucarini a Trevi per la mostra Preuspposti per un dialogo inesatto. Cosa avete realizzato per quell’occasione? 
La mostra è stata curata sempre da Daniela Cotimbo e consisteva in un dialogo fra Mauro Vitturini e me, in passato avevamo fatto insieme anche un’altra mostra intitolata Diasige (2011). In questo caso abbiamo rinnovato l’idea e abbiamo messo l’accento su come un dialogo possa essere fondamentalmente valido anche nelle sue inesattezze. È molto bello il video omonimo che abbiamo fatto insieme. Dentro una stanza del museo siamo proiettati ciascuno in un angolo. Mentre io cerco continuamente di dialogare con Mauro lui non risponde se non tramite sottotitoli. 
La curatrice della mostra è stata molto presente e sicuramente partecipe in modo profondo al lavoro finale. Oltre che abile a intercettare nelle nostre così profonde differenze caratteriali un fil rouge inaspettato ma direi presupposto. 

A questo proposito, in base alla tua esperienza, come dovrebbe essere il rapporto fra artista e curatore? 
Non lo so ancora bene, però mi sono reso conto che sicuramente ci deve essere grande sintonia. Il curatore che non ti conosce bene o che non è molto interessato alla costruzione di un’affinità di intenti non ha molto da offrire. 

Domanda inflazionata forse ma in quanto giovane storica dell’arte mi interessa molto: cosa significa per te essere un giovane artista emergente in una realtà come Roma? 
Non so se sia peculiare di Roma ma sento che in questa città mi manca molto lo scambio umano. Non mi piace il fatto di non scambiarsi idee e opinioni con altri artisti. Mi trovo sempre di più a rapportarmi con curatori, critici o comunque persone che si occupano di arte ma dall’altra parte. Io invece amerei tantissimo capire cosa pensano gli altri artisti. 

Ci puoi annunciare in anteprima nuovi progetti o nuove collaborazioni? 
Anche se in questo momento ho diverse idee per la testa, vorrei prendermi un periodo per rinnovarmi. Ho bisogno di mettermi a pensare, riflettere su quello che ho realizzato, anche per non sottostare a una sorta di bulimia produttiva.

Vi invitiamo a visitare il sito di Diego Miguel Mirabella
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sabato 2 marzo 2013

di Unknown

VideoPost | Winter, un'audiovideoinstallazione del collettivo Triac

Triac, Winter
Presso la Galleria Gallerati di Roma abbiamo avuto il piacere di conoscere i componenti del collettivo Triac, un trio di musica elettronica, minimalista e ambientale, nato alla fine del 2011 e composto da Rossano Polidoro (ex Tu m', Line USA), Marco Seracini e Augusto Tatone. La loro ricerca mira a creare installazioni audiovisuali, sperimentando la relazione tra spazio ed elementi naturali.

Sabato scorso la Galleria Gallerati, con la curatela di Noemi Pittaluga,  ha ospitato Winter, una video installazione dei Triac. Uno schermo blu con impercettibili micro cambiamenti visivi. Come scritto nel comunicato stampa,  "Winter è una piega del nostro cervello, una nicchia mentale, un groviglio psichico in cui le coordinate spaziali sono perdute".

Per saperne di più riguardo la ricerca portata avanti dal collettivo eccovi una breve intervista a Marco Seracini, uno dei Triac (www.triac-act.com).

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domenica 29 gennaio 2012

di Unknown

Cattelan scrive Celentano risponde

Uno scambio epistolare tra due artisti del nostro tempo, due provocatori sempre un gradino al di sopra di noi per guardarci e restituirci le nostre debolezze di uomini sotto forma di musica e arte strabordante. 

Di chi parliamo? Maurizio Cattelan ed Adriano Celentano.

Mentre in Italia si scatenano le polemiche riguardo la partecipazione del Molleggiato al Festival di Sanremo, un' intervista dialogo tra i due va in scena sulle pagine di Interview, versione tedesca della rivista fondata da Andy Warhol.

Tre lettere di Cattelan e due di Celentano in cui, tra ricordi personali e moniti reciproci, si insinua uno sguardo leggero e diretto verso una società colma di contraddizioni banali.

M.  Cattelan
Ammirazione tra i due artisti che in comune hanno la passione per la denuncia e la bellezza bizzarra delle loro idee.

Ad esempio Celentano riguardo l'arte di Cattelan afferma: "Ritrovo una certa follia, dove anche io mi riconosco, che spiega più di tutti il mondo in cui viviamo".

Un mondo che nell'arte di Cattelan ci viene restituito senza sconti, con visioni inaspettate e potenti, tanto quanto i miti di un tempo. Basti pensare al dito medio che si erge in Piazza Affari a Milano al pari di un eroe a cavallo.

E che dire invece delle strofe di Celentano, ad onor del vero più recitate in monologhi che cantate, che ancor oggi ritornano come un dito nella piaga nel balletto triste della società?
Noi, come Cattelan, attendiamo che al Festival Celentano ci regali "qualche minuto di libera imprevidibilità". Ingrediente fondamentale per qualsiasi tipo di arte.
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