Giada Colagrande, Marina Abramovic, Willem Dafoe "il cinema é qualcosa di familiare: da ragazzina a Belgrado quasi scappavo di casa per andare in una specie di cineclub dove vedevo tutti i film di Kurosawa, Bergman, Visconti, Antonioni, De Sica, mentre al massimo a casa mia si vedevano in tv i discorsi di Tito e i film di guerra. Amo il cinema d'autore, detesto i film commerciali americani, sempre così ripetitivi" (fonte: ANSA.it)
A dichiararlo è Marina Abramovic, l'artista e performer serba impegnata in questi giorni alla Biennale di Venezia, per la 69° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, in qualità di giurata (con lei Laetitia Casta, Peter Ho-Sun Chan, Ari Folman, Matteo Garrone, Ursula Meier, Samantha Morton, Pablo Trapero e presieduta da Michael Mann)
Ma il 1 settembre, in una delle Giornate degli Autori, a Venezia è stato proiettato un film d'eccezione che la riguarda da vicino: Bob Wilson's - Life and Death of Marina Abramovic della giovane italiana Giada Colagrande.
Ancora una volta la Abramovic fonde stili, linguaggi artistici e piani differenti su cui la vita scorre.
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