Nell’ambito del programma Artisti in residenza, mercoledì 17 aprile 2013 presso la Sala Cinema, il MACRO ha presentato il talk di Luca Trevisani, uno degli artisti italiani di ultima generazione più interessante. Il suo lavoro spazia dalla scultura al video, fino a discipline come le arti performative, la grafica, il design, il cinema di ricerca e l’architettura.
Durante il talk, a pungolare l’artista, sono intervenuti Claudia Gioia, curatrice della sua recente mostra presso la galleria Valentina Bonomo di Roma, e l’artista visivo Italo Zuffi.
Trevisani, dopo un’attenta riflessione sul suo lavoro, sempre ricco di echi e suggestioni, ha presentato al pubblico il progetto filmico che sta ultimando durante la residenza al MACRO. Protagonista è l’acqua e le sue trasformazioni.
Nel video che segue troverete nella prima parte il talk e nella seconda la presentazione in anteprima del lavoro(dal 27° minuto in poi).
Il fattaccio ruota attorno ad una bella scultura intitolata Nuovo ciclista, posizionata sul lungomare sud di Giulianova. Una scultura, una bici, realizzata dall'artista Gloria Sulli che nel 2009 partecipò al concorso dedicato a Venanzo Crocetti, organizzato in occasione del centenario del Futurismo.
Il giorno dell'inaugurazione della scultura il sindaco dichiarò che l'opera consacrava la cultura ciclabile su cui l'Amministrazione stava puntando. Tutte parole al vento, considerando che, trascorsi da allora più di tre anni, la scultura risulta ancora non pagata; nonostante le sollecitazioni dell'associazione Piazza Dante al comune giuliese.
E l'artista pescarese che fa? Puf... fa sparire nottetempo la scultura, caricandola su un furgoncino durante la pasquetta. A documentare il tutto la foto del piedistallo ormai vuoto.
Anche se il gesto a nostro parere sarebbe stato più che giusto...trattasi solo di semplice pesce d'aprile: la foto è frutto di un fotomontaggio e poco dopo l'associazione svela che in realtà la scultura non è mai stata smossa dalla sua base.
Come dire: "Se non pagate mi riprendo la scultura!"
Ma possibile che sulla costa abruzzese le sculture non hanno mai vita facile? O, nonostante siano state fatte a regola d'arte, non vengono pagate (caso Gloria Sulli a Giulianova), o, pur essendo state pagate cifre esorbitanti, all'improvviso e imprevedibilmente, vanno letteralmente in frantumi (caso calice di Toyo Ito in piazza Salotto a Pescara).
Hugues Russel è un fotografo francese, che oggi vive e lavora
a Roma. Abbiamo partecipato al vernissage della sua ultima mostra presso l'Artothèque de Rome. Non ci siamo fatti scappare
l’opportunità di fargli qualche domanda sul suo lavoro e sui prossimi progetti.
Ecco cosa Hugues ci ha raccontato e un video della mostra in corso, in cui una serie di scatti in bianco e nero ci raccontano il fascino dell'antico e selvaggio paesaggio di Gozo, l'isola sorella di Malta.
H. Roussel, Gozo, #1, 2011
(courtesy of the artist)
Cominciamo dal tuo ultimo lavoro: Gozo. Rappresenta la terza tappa di un progetto più ampio intitolato Inverse Landscape. Com’è nato il progetto e in cosa consiste?
L'inizio è nato a Roma, durante la campagna elettorale che ha visto Alemanno vincere. Volevo raccontare questo periodo strano della mia città come non l'avevo ancora fatto. Poco dopo ho avuto l'opportunità di esporre a New York e ho deciso di proseguire con questo approccio, dando vita all'idea del progetto: fare dei ritratti di luoghi fotografando certi elementi che lo caratterizzano (architettura, gente, natura, dettagli urbanistici, materie, etc.) come se fossero un prisma per guardarli. L'uso del negativo è essenziale perché la sbarra che separa i fotogrammi entra a far parte dell'immagine, diventa un elemento della composizione e ci ricorda che siamo di fronte a una vera impronta luminosa.
Cos’è che ti spinge a fotografare un luogo piuttosto che un altro?
Prima di tutto c'è senza dubbio la curiosità e il piacere di scoprire dei luoghi nuovi. Poi ci sono anche gli elementi “tecnici” per riuscire a fare questo lavoro: la luce (ho bisogno di tanto sole) e la durata della permanenza (almeno due settimane sul posto).
Inverse Landscape ha visto protagoniste tre diverse dimensioni urbane: Roma, New York e Gozo. Cos'è rimasto in te di questi tre luoghi?
Tante cose: incontri con delle persone del posto, rumori, odori, e tante altre immagini non scattate, ma segnate come tali nella mia memoria.
Ci dici qualcosa di più riguardo la particolare tecnica di stampa che utilizzi?
Non è molto particolare nel senso che stampo i negativi che ho, tutto parte da lì. Uso la stampa analogica in quanto stampa tradizionale o “artigianale” perché mi piace produrre il lavoro con le mie mani. Stampando cosi, ogni fotografia è un po' diversa dall'altra, quindi unica...
H. Roussel, Gozo, #7, 2011
(courtesy of the artist)
Tutte le tue foto giocano con la sovrapposizione di strati su strati, ora evanescenti ora più marcati, che cercano di raccontarci un luogo, un tempo, una persona, un’azione. Ci sveli qualcosa riguardo questa poetica?
Unire sul negativo due scatti significa unire due soggetti diversi o due tematiche diverse. In più aggiungo la casualità (una costante nel mio lavoro) per ottenere da queste due realtà un’immagine che fa riflettere, evoca, suggerisce, che bussa alla porta dell'immaginario. In altri tempi il Surrealismo ci ha aperto questa porta e, oggi più che mai, abbiamo bisogno di portare uno sguardo poetico/critico sulla realtà, uno sguardo che ci riporta anche allo spazio dei sogni dove finisce l'impossibile e dove può cominciare l'utopia.
Ora andiamo un po’ più sul personale. Quand’è nata la passione per la fotografia e quando hai capito di non poterne più fare a meno?
Questa passione è nata nel ‘97 quando per sbaglio utilizzai due volte una pellicola. Prima avevo già fotografato dei viaggi, ma non ero ancora “appassionato”. Dal 97 fino al 2003 ho lavorato contemporaneamente alla pittura, fotografia, disegno, video... Nel 2003, dopo la nascita del mio secondo figlio, ho deciso di concentrarmi sulla fotografia. Da autodidatta avevo ancora tanto da scoprire... e la passione era diventata davvero grande...
Qual è la prima cosa che ti viene in mente che vorresti fotografare ma che per un motivo o per un altro ancora non sei riuscito a fotografare?
Non ce n'è solo una!!! Sono tante, quanto tutti i paesi del mondo, tutte le etnie, paesaggi, città e villaggi che esistono sulla Terra. Purtroppo mi mancano i soldi e forse qualche vita in più per riuscirci.
Prossimi progetti fotografici e occasioni espositive?
I prossimi progetti sono legati a sperimenti che riprenderò presto in laboratorio: dopo sette anni senza, sto rimettendo su la mia camera oscura... La prossima mostra si farà a Roma, a giugno, alla Galleria Gallerati.
Presso la Galleria Gallerati di Roma abbiamo avuto il piacere di conoscere i componenti del collettivo Triac, un trio di musica elettronica, minimalista e ambientale, nato alla fine del 2011 e composto da Rossano Polidoro (ex Tu m', Line USA), Marco Seracini e Augusto Tatone. La loro ricerca mira a creare installazioni audiovisuali, sperimentando la relazione tra spazio ed elementi naturali.
Sabato scorso la Galleria Gallerati, con la curatela di Noemi Pittaluga, ha ospitato Winter, una video installazione dei Triac. Uno schermo blu con impercettibili micro cambiamenti visivi. Come scritto nel comunicato stampa, "Winter è una piega del nostro cervello, una nicchia mentale, un groviglio psichico in cui le coordinate spaziali sono perdute".
Per saperne di più riguardo la ricerca portata avanti dal collettivo eccovi una breve intervista a Marco Seracini, uno dei Triac (www.triac-act.com).
Da Alviani Art Space, lo spazio di ricerca e sperimentazione sul contemporaneo all'interno dell'Aurum di Pescara e a cura di Lucia Zappacosta, ha inaugurato sabato scorso la seconda mostra della stagione espositiva.
La collettiva dal titolo (Con)temporary shop, ideas for sale, a cura di Stefano Verri e realizzata in collaborazione con Sponge Arte Contemporanea, vede la partecipazione di sei artisti che indagano la contemporaneità che viviamo. E' una mostra fatta di ossessioni e false credenze travestite da brand, fatta di dipendenze da tempi altrui a cui rispondono proposte di potenziali vie d'uscita.
La mostra è un concentrato di idee che se da un lato smascherano, dall'altro offrono ricette salva vita.
Smascherano le contraddizioni su cui impostiamo la nostra quotidianità, gli artisti Giovanni Presutti, Rita Soccio e Hisako Mori.
Giovanni Presutti con la sua serie Dependency, restituisce l'immagine di un'umanità perennemente narcotizzata dalle proprie debolezze. Dell'intera serie in questa mostra troviamo la foto con i due anziani coniugi seduti di spalle in salotto, muniti di cuffie. L'impostazione simmetrica dell'immagine esalta la passività dei due anonimi personaggi, completamente e totalmente catturati dalla propria e personalissima televisione.
R. Soccio, Costituzione,
stampa fotografica lampda su dibond, 2009
courtesy Galleria Marconi / Cupra Marittima
Rita Soccio presenta un'opera di qualche anno fa ma ancora molto attuale, considerando le recenti affermazioni politiche riguardo la Costituzione. L'artista, servendosi del marketing e dei suoi meccanismi accattivanti, ce ne offre un assaggio, riproponendoci articoli scritti a mo' di frasi smielate alla Federico Moccia (uno degli autori italiani scelti dalla nota casa dolciaria). Al fruitore dell'opera non resta che assaporare il lato contraddittorio e amaro del senso.
H. Mori, è la mia metà,
installazione, origami, 2012,
courtesy Quattrocentometriquadri gallery /Ancona
Al centro della galleria è sospesa la borsetta origami di Hisako Mori, che alla funzione solita dell'acquisto sostituisce un momento di auto-riflessione. Intima e personale tramite un fondo specchiante all'interno della borsetta; ironica e universale attraverso l'utilizzo di riviste (italiane per l'esterno, giapponesi per l'interno), simbolo di mancata integrazione culturale.
Rispondono con modelli di vita probabili le opere di Paolo Angelosanto e Giovanni Gaggia che con For love only for love e Ali squamose, opere d'arte ricamate, optano per una velocità più slow e quindi meditativa per il futuro. Angelosanto durante una performance ha ricamato un cuore su una camicia della linea di moda di John Malcovich e in mostra ne ritroviamo il prodotto: la camicia con il cuore, incorniciata come "una reliquia della contemporaneità". Gaggia invece utilizza la stessa tecnica e lo stesso soggetto su una tela di lino bianca ma all'azione del singolo sostituisce l'azione collettiva di un intero paesino abruzzese (Sant'Omero).
P. Angelosanto, For love only for love,
ricamo su camicia di John Malkovich,, 2012
courtesy Rossmut / Roma
G. Gaggia, Ali squamose,
ricamo su lino, 2009,
Courtesy Factory-Art gallery / Berlino
L'escamotage risolutivo, per far fronte a tutte le paure concrete regalateci dalla società moderna (crisi, default, spread...), è dato però dall'opera di Jukuki. L'artista partendo dall'Hobo americano, il senzatetto per scelta che non disdegna lavori occasionali, ipotizza e realizza un kit di sopravvivenza fatto con stile, brandizzando di fatto crisi e povertà. L'artista propone una comoda postazione dove inginocchiarsi per elemosinare aiuto tramite una serie di cartelli prodotti su supporti rigidi, colorati, resistenti e leggeri, con un design innovativo ed originale. Il tutto accompagnato da frasi ad effetto scritte da utenti del web.
Durante la serata inaugurale già in molti hanno provato l'ebbrezza realistica del mendicante contemporaneo, rendendo la postazione una vera e propria installazione - performance fruibile da tutti. D'altronde siamo o non siamo tutti sulla stessa barca? Poveri si, ma con stile...
Jukuki, Be Hobo / poveri con stile,
installazione, 2013
www.behobo.it
Lo spazio veniva misurato con gli occhi di un bambino che osserva un luogo per la prima volta, e con la testa di un architetto che scruta i profili della realtà urbana. La città, con i suoi percorsi e vedute periferiche si dava all'obiettivo di questo grande fotografo per essere raccontata silenziosamente con i toni del bianco e nero.
Gabriele Basilico è stato uno dei più importanti fotografi internazionali degli ultimi 40 anni. Ieri, l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Stefano Boeri, dando annuncio della sua scomparsa, ha scritto:
«I suoi occhi di fotografo sono divenuti col tempo gli occhi di tutti noi, davanti alla complessità infinita dei fenomeni urbani. Occhi che hanno incorniciato, registrato e documentato centinaia di spazi urbani e città del mondo, riuscendo a trasmettere la loro sensualità, a decifrare le contrapposizioni più stridenti e a dare dignità anche ai luoghi più derelitti».
Presso la Federico Schiavo Gallery (Roma) è in corso una mostra che indaga in maniera inedita il mondo della micologia e più in generale dei sistemi di classificazione scientifica. Ma l'artista in questione, Salvatore Arancio, con questa mostra intitolata The Little Man of the Forest With the Big Hat, va oltre l'apparenza e ne fa trasparire, mediante giochi scultorei e composizioni ardite, i risvolti inaspettatamente folli, maniacali e visionari.
S. Arancio,The Little Man of the Forest with the Big Hat, 2012,
five glazed ceramics, gouaches on printed paper, perspex, painted MDF, giclée print on canvas
( photo by Giorgio Benni, courtesy Federica Schiavo Gallery, Roma)
La mostra ruota attorno all'omonima installazione scultorea, progettata e realizzata dall'artista nel 2012 a Faenza, in occasione della residenza presso il Museo Carlo Zauli. Ceramiche in bianco e nero lucente riproducono le forme di insoliti funghi velenosi, che ritroviamo anche in illustrazioni di schede di classificazione rubate dai libri di micologia.
La manipolazione e la distorsione di forme e catalogazioni precise inducono la ricerca verso l'altra faccia della medaglia, dove la rigida classificazione dilaga in volontà maniacale. Stessa ambivalenza si rintraccia nelle proprietà benefiche e allucinogene del fungo.
S. Arancio, Bird, 2012,
looped video for projection,
( photo by Giorgio Benni, courtesy Federica Schiavo Gallery, Roma)
Salvatore Arancio presenta anche un video, Bird, girato in Super 8 all'interno del Museo di Zoologia di Bologna. L'indagine qui si concentra sulle collezioni ornitologiche, in particolare quella della prima metà del secolo di Zaifagnini- Bertocchi. Alla manipolazione scultorea si sostituisce la manipolazione della ripresa lenta e ambigua, che ancora una volta mostra al fruitore l'aspetto più visionario insito nella nel rigore dell'azione catalogatrice. Ruolo fondamentale in questo senso è dato anche al suono che accompagna il film, Expo 70, progetto musicale di culto di Kansas City.
S. Arancio, View of The Little Man of the forest with the big hat, 2013
mixed media, installation view,
( photo by Giorgio Benni, courtesy Federica Schiavo Gallery, Roma)
Nella terza ed ultima sala le relazioni natura/scienza si palesano più chiaramente, tramite giochi illustrativi e l'esposizione di una nuova scultura, realizzata durante una residenza d'artista presso l'European Ceramic Workcentre di 's-Hertogenbosch (Paesi Bassi).