mercoledì 14 marzo 2012

di Unknown

Sculture leggere di Akira Yoshizawa

A. Yoshizawa
L'abbiamo ripetuto in molti dei nostri post e le mostre che continuamente visitiamo ogni volta ce lo ricordano: l'arte non conosce confini in quanto a materiali e tecniche di espressione, se poi vi si aggiunge un tocco di poetica manualità e passione pura... voilà... dinanzi a noi avremo forme d'arte autentiche. 

Premessa doverosa per dire che Akira Yoshizawa senza dubbio merita l'appellativo di artista.Se questo nome non vi dice nulla, ascoltate questa storia:

La legenda vuole che tra il XVI e il XVII secolo, in Giappone, durante il periodo Edo, l'imperatore ebbe un'illuminazione. Perchè non donare al suo popolo tanti "oggetti di riconoscimento"? Piccoli doni di carta originariamente rappresentanti la gru giapponese, animale simbolo della felicità e del benessere. Nel corso dei secoli successsivi, la tradizione di questi regali di carta fu ripresa dalle varie dinastie che si susseguirono al potere. Un giorno arrivò nelle mani di un certo Akira Yoshizawa, che trasfornò questa antica tradizione da lavoro artigianale a vera forma artistica. 

Avete capito bene, stiamo parlando degli origami.
Google oggi dedica il suo Doodle proprio al signor Yoshizawa, nel giorno in cui nacque e, per uno scherzo del destino, morì (14 marzo 1911- 14 marzo 2005).

Figlio di un allevatore della prefettura di Tochigi, cominciò a lavorare in una fabbrica di Tokyo verso i 13 anni, per poi dedicarsi alla sua formazione da disegnatore tecnico. Spesso utilizzò gli origami per spiegare e rendere visibili problemi geometrici. Nel 1937 lasciò il lavoro in fabbrica e si dedicò completamente agli origami.
L'artista creò più di 50.000 modelli.

Qualcuno continua a definire questa pratica solo come artigianato. Per noi che ci emozioniamo dinanzi alla semplicità, i modelli di Yoshizawa sembrano sculture senza peso con chili di emozioni.
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di Unknown

La poesia e la forza nel segno di Strazza e Tito

Diciamocelo francamente... La grafica in Italia non ha mai riscosso grande interesse da parte della critica né del collezionismo. 
Da tempo, però, Giuseppe Appella si muove alla ricerca e diffusione di questa arte così sofisticata e che ha il sapore dolce di antico. 
Spesso proprio gli artisti la praticano in maniera marginale, relegandola ad intimo e personalissimo vezzo artistico, il più delle volte sconosciuto perfino al loro fedele pubblico. Strano, però, che proprio nella grafica e nelle molteplici varianti che questa nasconde,  spesso si celi la vena più pura di un artista. Quasi ci fosse una sorta di distanza minima tra il suo pensiero/intenzione e l'opera fatta. 

Dal 10 febbraio, le suggestive mura della galleria romana Sala 1 ospitano un faccia a faccia a colpi di segni, tra due artisti che la grafica la conoscono davvero bene. Appella, curatore d'eccezione,  volendo dare nuovo rilievo a questa forma artistica, presenta una selezione sapiente di lavori, dagli anni Cinquanta ad oggi, di due artisti storici, che come pochi, si sono confrontati nella ricerca incisoria. 

G. Strazza, Trama quadrangolare, 1978
Guido Strazza è uno dei più conosciuti artisti italiani in questo campo. Soprattutto anche grazie al rilievo critico e storico conferito da lui alla disciplina, tramite una ricerca teorica parallela alla pratica.
Non a caso l'auterovole voce di Argan, a riguardo affermava:
"Dell'arte incisoria non esistono, che io sappia, trattazioni analitiche altrettanto vaste e addentrate: la ricerca penetra fino alla sorgente e alla prima mossa del gesto grafico, alla qualità dei mordenti e degli inchiostri, alla grana delle carte, alla microplastica dell'immagine incisa. Quella critica è in parte scritta con intento didattico, ma per lo più è interna al fatto artistico"



T. Amodei, Deposizione, 1961
Tito Amodei, al contrario, conosciuto in qualità di scultore e pittore, è autore di un corpus grafico notevole ma pressoché sconosciuto.
Se fino agli anni '80 la grafica rappresenta quasi un aspetto secondario del suo lavoro, quasi un mezzo preparatorio e di studio, d'ausilio alla scultura, dagli anni '90 in poi il segno diviene autonomo, non più come mezzo ma soggetto stesso dell'opera, una sorta di "segno significante", come lo definì A. Rubini

A volte sembra quasi che alla forza segnica dell'artista non sia sufficiente la grafica e il discorso si completi solo attraverso la scultura. Forse non a caso in occasione della mostra a Sala 1, campeggiano in fondo alla sala, le opere di Tito scultore che meglio evidenziano questo magico legame tra le due attività artistiche.

Mostra interessante per ammirare l'opera di Strazza e per scoprire da vicino la passione e la forza di Tito. 
Affrettatevi perché la mostra chiude i battenti il 10 aprile.

Per info www.salauno.com
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martedì 13 marzo 2012

di Unknown

VideoPost | Il potere della creatività secondo Guido Fabrizi

Nome: Guido.
Cognome: Fabrizi.

Diplomato presso l'istituto Superiore di Fotografia di Roma, negli anni '90 inizia un percorso professionale che lo vedrà spesso occupato in varie campagne fotografiche. 
Dal 2002 comincia a lavorare con agenzie pubblicitarie multinazionali. 
Nel 2011 è stato uno dei tanti artisti che ha optato per il sì a Vittorio Sgarbi nell'ambito della Biennale di Venezia, nel Padiglione regionale a Roma. La sua lettera aperta, pubblicata sulle pagine del quotidiano "Il Giornale", diede una risposta secca al polverone dei no e alle critiche che si moltiplicavano a non finire nell'afa estiva.
"Io fotografo senza padrini non mi vergogno di aver detto sì alla Biennale"
Senza far differenze di casta né di politica e credo, il sì disinteressato di Fabrizi rimbomba come un inno alla libertà creativa, tanto quanto un no ben ponderato...

La libertà di pensiero e di scelta, che si tratti di un sì o di un no, è indice di un'arte pura slegata dai lacci e impalcature del sistema. 

Gli unici meccanismi con cui l'arte deve fare i conti  ci si augura che siano quelli della creatività...Via d'uscita dei vecchi e nuovi "Tempi moderni".

Eccovi un video reinterpretato da Guido Fabrizi che ci ricorda, tramite Chaplin, la forza della creatività, che forse non a caso fa rima con libertà.




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sabato 3 marzo 2012

di Unknown

L'arte terapia non sta alla schizofrenia come la schizofrenia sta all'arte

L'Art therapy, disciplina che comincia a prender piede dagli anni '50 in poi, sembra non funzionare nei pazienti malati di schizofrenia. 
A decretarne l'effetto nullo è uno studio pubblicato sulla versione on line del "British Medical Journal".

La terapia, come altre d'ausilio ai farmaci,era da tempo utilizzata nella cura dei pazienti, ma fino ad oggi nessuno studio serio ne aveva messo in luce i reali effetti. Lo ha fatto ora un team di ricercatori del Centre for Mental Health dell' Imperial College di Londra.

417 pazienti schizofrenici, con un età media di 18 anni, hanno partecipato alla ricerca. Sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo gruppo è stato sottoposto per 12 mesi a sedute settimanali di arte-terapia più cure standard; il secondo gruppo con la stessa cadenza è stato sottoposto ad altro tipo di terapia più il trattamento standard; il terzo gruppo è stato curato esclusivamente tramite trattamento standard. 
A fine cura, tra i tre gruppi, in quanto a risultati ottenuti, non è emersa alcuna differenza. 

E pensare che leggendo biografie di artisti, molto spesso la schizofrenia va a braccetto con la creatività più pura.

Pensate ad esempio ad Edvard Munch, molto probabilmente affetto da una sindrome schizoide. La lista sarebbe ancor lunga, soprattutto includendo nel discorso anche artisti che sfiorarono la pazzia vera e propria. Tormento, autodistruzione, depressione, ossessioni... occhi e cervelli malati e visionari tornano spesso nelle vite dei maggiori artisti, spesso come semi germogliati in atti di pura creatività.

Siamo sicuri che i 417 pazienti fossero affetti da schizofrenia? E se fosse semplice creatività che non vuol esser curata?



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lunedì 27 febbraio 2012

di Unknown

Video Post | Bruno Munari e la fantasia

Bruno Munari è stato uno dei massimi rappresentanti dell'arte del secolo scorso. Con il suo fare poliedrico ha sperimentato nel campo della pittura, scultura, grafica e design.

Con occhio sapiente ha guardato all'arte e alle sue molteplici forme scovando la chiave di lettura giusta per avvicinare anche i più piccini alla pazzia e misura della fantasia.

Nel video che vi proponiamo l'artista prova a dare una sua definizione di fantasia.
La semplicità delle sue parole e la forza della sua ricerca lo rendono ancor oggi un punto di riferimento da tener sempre presente.





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domenica 29 gennaio 2012

di Unknown

Cattelan scrive Celentano risponde

Uno scambio epistolare tra due artisti del nostro tempo, due provocatori sempre un gradino al di sopra di noi per guardarci e restituirci le nostre debolezze di uomini sotto forma di musica e arte strabordante. 

Di chi parliamo? Maurizio Cattelan ed Adriano Celentano.

Mentre in Italia si scatenano le polemiche riguardo la partecipazione del Molleggiato al Festival di Sanremo, un' intervista dialogo tra i due va in scena sulle pagine di Interview, versione tedesca della rivista fondata da Andy Warhol.

Tre lettere di Cattelan e due di Celentano in cui, tra ricordi personali e moniti reciproci, si insinua uno sguardo leggero e diretto verso una società colma di contraddizioni banali.

M.  Cattelan
Ammirazione tra i due artisti che in comune hanno la passione per la denuncia e la bellezza bizzarra delle loro idee.

Ad esempio Celentano riguardo l'arte di Cattelan afferma: "Ritrovo una certa follia, dove anche io mi riconosco, che spiega più di tutti il mondo in cui viviamo".

Un mondo che nell'arte di Cattelan ci viene restituito senza sconti, con visioni inaspettate e potenti, tanto quanto i miti di un tempo. Basti pensare al dito medio che si erge in Piazza Affari a Milano al pari di un eroe a cavallo.

E che dire invece delle strofe di Celentano, ad onor del vero più recitate in monologhi che cantate, che ancor oggi ritornano come un dito nella piaga nel balletto triste della società?
Noi, come Cattelan, attendiamo che al Festival Celentano ci regali "qualche minuto di libera imprevidibilità". Ingrediente fondamentale per qualsiasi tipo di arte.
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mercoledì 11 gennaio 2012

di Unknown

Festival della videoarte In Visibile

In seguito all'interesse suscitato nelle sue edizioni estive presso Colli del Tronto, il Festival della videoarte In Visibile, ha pensato bene di fare un bis con un'edizione invernale presso Bellante, cittadina in provincia di Teramo.  Il 6, 7 e 8 gennaio video installazioni di artisti emergenti sono state presentate al pubblico nell'antico e suggestivo Palazzo De Laurentis, grazie all'Associazione culturale Liberamente, guidata da Nicola De Dominicis, e la supervisione del curatore ticinese Riccardo Lisi.

Il festival invisibile nasce da un'idea dell'Associazione il Formichiere di Colli del Tronto: "Rendere l'invisibile in visibile" è il gioco semantico alla base del progetto che consiste in una vera e propria kermesse di giovanissimi video maker alle prese con uno spazio.

Inutile dire che spesso proprio lontano dai centri deputati all'arte contemporanea si rimane piacevolmente stupiti.

Giustino Di Gregorio
Il primo artista incontrato è Giustino Di Gregorio che paradossalmente, attraverso il buio dello spazio, è riuscito a catturare la luce, imprigionandola in una sorta di poetico quanto moderno cilindro che ce ne racconta le evoluzioni. Trapped Light, questo il titolo dell'installazione, ha sicuramente qualcosa in comune con l'osannato vincitore dell'ultima  Biennale di Venezia Haroon Mirza
Di Gregorio emozionato ci rivela:   
"Il tutto è nato da un ricordo di mio figlio che a cinque anni cercava di catturare la luce".

Gloria Sulli
Gloria Sulli invece ha scelto di rendere manifesta la paura e l'angoscia degli immigrati attraverso una sorta di metafora: un mare in tormenta che fagocita giocattoli per poi restituirli. A rendere il tutto meno astratto e più tangibile, a far da monito, una montagna di  giochi ai piedi del video.





Hypericum
Hypericum, duo emergente di artisti freschi freschi dall'Accademia, ma con le idee già chiare, hanno proposto una versione contemporanea del mito di Icaro, nata dall'esigenza di metter in scena la fragilità umana attraverso la fragilità del corpo, scegliendo di rappresentare una sorta di disfacimento in tre atti. Le tre teste di cera, stese su un letto di sale calpestabile, sono i resti di un pericoloso azzardo dal sapore di sconfitta misto a coraggio.



A stupirci piacevomente soprattutto Punta_Spillo, coppia di giovani artiste appena nate, italianissime ma conosciutesi durante un Erasmus  in Inghilterra. 
Noli me tangere/in cattività è una video installazione da guardare ma soprattutto da raccontare, fitta di suggestioni, ossessioni e contrasti, pensata in forte relazione con l'edificio che la ospita, come una delle artiste ci spiega:  
Punta_Spillo
"L'opera in realtà è stata concepita proprio per questo spazio. Abbiamo chiesto la genealogia degli abitanti di quest'antico palazzo del '600 ed abbiamo scoperto una discendenza patrilineare: prelati, medici, veterinari. Questa cosa ci ha interessate come suggestione iniziale...".

Suggestione che ha dato il LA per una trama imbastita intelligentemente, mai a caso e sempre con cognizione di causa: dalla figura della donna immersa nella conquista della sua emancipazione, alla bestialità insita in ognuno di noi e sempre repressa, sino al concetto di tempo nella gabbia, luogo per antonomasia in cui il tempo nell'attesa
 "si annulla, si dilata, diventa struggente, diventa aspettativa, pesante, diventa morte quotidiana." 

Altro artista da indagare è sicuramente Stefano Boffi con la sua opera a metà tra performance, installazione e video, in cui una sorta di rito concorre ad un unico obiettivo: un invito a godere della percezione privata dai lacci che spesso le vietano di esprimersi liberamente, come lui stesso precisa:
"Lavoro esclusivamente sulla percezione e penso ci siano tantissimi elementi che fanno parte della cultura che non le permettono di evolversi, uno tra tutti il simbolo che è una sorta di verità a cui noi spesso diamo un significato che può rivelarsi anche solo un'illusione... Superare il concetto di simbolo può aiutarci a spingerci verso una verità nostra e personale".
Stefano Boffi
In tal senso, in Upanishad, l'artista  si serve del pane come simbolo ed invita il fruitore dell'opera a calpestarlo per approdare al senso dell'opera, alla verità, simbolicamente rappresentata da un testo esplicativo.


Oltre agli artisti già citati hanno preso parte alla manifestazione anche Davide Calvaresi, Cloro Cloro Cloro, Rosaria Farina, Mirko Aretini, il tutto con le performance di compositori di musica elettronica come Orgon, Fabio Perletta, dj Kurtz, Mc Geyser, Aliquid e Sunjata. 


Festival ricco di spunti e linguaggi artistici eterogenei, nato da soli due anni, a cui auguriamo una fortuna maggiore per le prossime edizioni. 
Noi intanto vi mostriamo pillole di questa edizione speciale, per rendere un po' più visibile "In visibile"...



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