giovedì 30 agosto 2012

di Unknown

Castelbasso, Civitella e la cultura contemporanea nei borghi

Tra colline lussureggianti, distese alte di girasoli e vigneti cullati dal canto della cicala, nel teramano stanno per chiudere i battenti tre mostre di arte contemporanea davvero speciali.
L' Associazzione Naca Arte, a Civitella del Tronto, e la Fondazione Malvina Menegaz per le arti e le culture, a Castelbasso, anche per quest'estate hanno dato esempio concreto di come l'arte ben si inserisca in contesti dal fascino senza tempo. 


Cultura contemporanea nei borghi, questo il titolo della manifestazione, intreccia perfettamente la memoria dei luoghi, le risorse del territorio e le visioni artistiche del mondo contemporaneo.

Arrivati a Civitella ci si inerpica lungo la fortezza borbonica e più si sale, più il paesaggio diviene mozzafiato. Gli spazi e le stanze, di questa grande opera di ingegneria militare, ospitano la bella mostra a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Umberto Palestini, intitolata "VISIONI la fortezza plurale dell'arte".  Come si legge nel catalogo 
"VISIONI è una mostra che non intende mettere al centro della riflessione dell’arte una qualche teoria estetica, o etica, ma più semplicemente le visioni differenti di artisti di varie generazioni che esprimono con vari mezzi una concezione personale dell’arte e del mondo".
Il visitatore è totalmente immerso in un'esperienza plurisensoriale: video, installazioni sonore, arazzi, dipinti, sculture e performance stuzzicano di continuo e rendono la passeggiata nella fortezza una scoperta continua.

Fortezza di Civitella del Tronto
Come non farsi rapire dalle cantilene e dagli echi, quasi tangibili, dell'installazione sonora di Valentina Vetturi, che raccontano di una donna e di una storia popolare consumatasi nel vicino bosco? 
Come non immergersi nella visione solitaria del film di Jan Fabre che al colore preferisce un bianco e nero con inserti letterari in blu poetico?

Jan Fabre, De Schelde, Hé wat een plezierige zottigheid!, 1988
Come non soffermarsi sulla mappa dell'Italia di Giuseppe Stampone, zeppa di storia, contraddizioni e misteri ancora irrisolti, tutti resi magistralmente tramite un'inconfondibile penna Bic?

Giuseppe Stampone, Mappa, Global Dictature, 2012
Come non sorridere dell'ironia scolastica dell'infanzia di Maurizio Cattelan in Untitled (Punizioni)?
E come non interrogarsi dinanzi all'alternarsi delle scritte video di Michelangelo Pistoletto in Chi sei tu? 

Maurizio Cattelan, Untitled (Punizioni), 1991

Michelangelo Pistoletto, Chi sei tu?, 1976
Altre opere di artisti si incontrano lungo il cammino. Ad esempio Vanessa Beecroft, Joseph Beuys, Sandro Visca, Enzo Cucchi, Ettore Spalletti e altri ancora.
Mostra da non perdere assolutamente avete tempo fino al prossimo 31 ottobre. 

Prima però dovete assolutamente andare a Castelbasso. Non vi rimane che quest'ultimo fine settimana, perché qui la chiusura delle due mostre in corso è prevista per il 2 settembre.

Castelbasso
Innanzitutto Castelbasso è un paese gioiello, perfettamente conservato, pieno di vicoli e balconi fioriti e vale una visita già di per sé. In più avrete la possibilità di ammirare, presso Palazzo Clemente, le opere di Carla Accardi, signora dell'astrattismo italiano. 

Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture
Nella mostra CARLA ACCARDI, smarrire i fili della voce, come fa notare la curatrice Laura Cherubini,
le opere sono legate da sottili ma solide relazioni ed emerge il rapporto tra i nuovi quadri inediti, macroscopici segni fatti di vivo colore, e le opere tridimensionali. (...) La relazione tra oggetti e superfici rivela come i quadri stessi di Carla Accardi siano in 
perpetuo dialogo con l’ambiente
Bellissimi i tre leggeri ombrellini, appoggiati sul pavimento di vetro che lascia intravedere le antiche fondamenta del palazzo castelbassese.  Un gioco intelligente e puro fatto di trasparenze, ombre, forme, segni e colori.

Uscendo da Palazzo Clemente, un percorso quasi obbligato vi conduce verso l'affascinante Palazzo De Sanctis, in cui è allestita la seconda mostra: RADICI memoria, identità e cambiamento nell'arte di oggi, a cura di Eugenio Viola.

Marina Abramovic (foto http://www.undo.net/it/mostra/142798)
Nomi internazionali dell'arte si interrogano ed interpretano le contraddizioni del nostro presente, scavando nel passato, senza mai scadere nel facile e scontato folklore, per risalire all'origine. Basti pensare alle foto di Marina Abramovic, con  le sue visioni ancestrali e irriverenti in cui danzano cielo, terra ed essere umano.

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mercoledì 29 agosto 2012

di Unknown

Messico: 300 paia di scarpe rosse per denunciare il femminicidio


Elina Chauvet, 300 paia di scarpe rosse
Le 300 paia di scarpe che il 29 luglio scorso l'artista messicana Elina Chauvet ha sistemato lungo l'asfalto di El Paso, in Texas, sono rosse come il sangue. Tacchi, rasoterra, sandali, ballerine, infradito e stivali ...un paio per ogni donna scomparsa, uccisa, rapita al confine tra Usa e Messico. Il corpo che non le indossa è un corpo abbandonato alla violenza e condannato all'oblio dell'indifferenza. E' una marcia immobile e silenziosa che denuncia e smuove le coscienze verso una protesta a gran voce.

Elina è nata a Casas Grandes, in Messico. Ha iniziato prima come autodidatta e in seguito ha studiato pittura, ceramica e scultura. Oggi risiede a Mazatlan, sempre in Messico, con il marito e i due figli. Ha partecipato a più di 30 mostre collettive e 2 personali nello Stato di Sinaloa dal Titolo "Virgins and miracles" e "A hearth on the edge".
Per il suo lavoro ha già ottenuto numerosi premi e riconoscimenti.

L'installazione temporanea di El Paso rappresenta il culmine di un progetto iniziato nel 2009, con le prime 33 paia di scarpe. La protesta ha a cuore soprattutto le donne di Juàrez, cittadina messicana in cui dal 1993 un vero e proprio femminicidio è stato messo in atto.

Ancora una volta un esempio di come l'arte possa svegliare le menti e le voci adagiate in un pericoloso letargo!

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venerdì 24 agosto 2012

di Unknown

La Grecia un po' meno archaeological e un po' più contemporary

Appena tornata dalle vacanze! 
Meta prescelta? Grecia. Ma attenzione, non è la solita Grecia che vi aspettate, quella delle gite e del tour operator per intenderci, fatta di capitelli, colonne, ridondante di vetrinette da museo colme di vasi dai nomi impronunciabili, tipo "oinochoe". No! 
La mia Grecia di quest'anno prevedeva due tappe di arte contemporanea. Ve le racconto a mo' di diario di viaggio.

State Museum of Contemporary art - Salonicco
PRIMA TAPPA: approdati ad Igoumenitsa alle 4 di mattina, dopo aver sorseggiato il primo caffè greco della vacanza, ci muoviamo dritti dritti verso Salonicco
Alle dieci di una domenica mattina, in pieno, afoso e boccheggiante agosto, troviamo aperto il Museo di Stato di Arte Contemporanea. Come non approfittarne? Anche perchè il Museo Macedone, altrettanto interessante se non di più, ahimè era chiuso.
L’edificio si trova in un quartiere non proprio centrale, ma facilmente raggiungibile in autobus dalla via Egnatia in soli dieci minuti. L'indirizzo preciso è via Kolokotroni, 21.
Prima di trovarlo ci perdiamo tra le vie e i palazzi dei dintorni. Sarà per via dei localetti che qui ci sono, ma qualcosa mi fa pensare al quartiere San Lorenzo di Roma.
Finalmente arriviamo! Armati di bottiglietta d’acqua, macchinetta fotografica e vocabolarietto d’emergenza, acquistiamo due biglietti e ne paghiamo solo uno (a qualcosa la mia Laurea in Storia dell’Arte serve ancora...almeno qui in Grecia).
Il Museo si trova nell'ala nord-est dello storico complesso Moni Lazariston, con una superficie totale di 3.300 metri quadrati.
State Museum of Contemporary art - Salonicco
Il primo piano, più che un museo, ha la parvenza di una scuola elementare. Lungo corridoio e stanze sui lati. Una di queste ci introduce alla collezione più importante qui conservata. Si tratta della Collezione Costakis, che comprende 1,275 capolavori dell'avanguardia russa. Gli artisti presenti sono: Kazimir Malevich, Kandinsky Vasilij, Liubov Popova, Vladimir Tatlin, Aleksandr Rodcenko, Ivan Kliun , Solomon Nikritin, Olga Rozanova, Varvara Stepanova, Nadezhda Udaltzova, Mikhail Matjusin, Gustav Klutsis ecc.
L'acquisto della collezione Costakis è stata effettuata dal governo greco nel marzo del 2000, in seguito alla decisione politica del Ministro della Cultura, prof. Evangelos Venizelos
George Costakis è nato a Mosca nel 1913 dove ha trascorso la maggior parte della sua vita. Ha lavorato come autista per l'ambasciata greca fino al 1940 e poi come capo del personale locale presso l'ambasciata canadese. Nel quadro dei suoi doveri professionali, ha accompagnato diplomatici stranieri nelle loro visite a negozi di antiquariato e case d'arte.
Senza avere alcuna formazione artistica e contatti con l'arte moderna, è stato colpito dalla vista di un dipinto di Olga Rozanova. Era il 1946 e la sua avventura da collezionista ebbe inizio, sviluppando un interesse per l'arte russa a partire dall'inizio del 20 ° secolo ed entrando in contatto con le famiglie degli artisti, da cui ha acquistato le loro opere. Costakis ha continuato la raccolta di opere per almeno tre decenni, dando vita ad una collezione meravigliosa. Senza rendersene conto, ha salvato una parte importante dell' arte moderna europea dalla distruzione e dall'oblio (in quanto il regime di Stalin aveva vietato tutte le opere dell'avanguardia russa, imponendo il dogma del realismo socialista anche nell'arte).
Il Museo ha anche un'altra sede nelle zone del Porto, ma nel pomeriggio, persi tra il tramonto all'ombra della Torre Bianca, simbolo di Salonicco, e la misteriosa Aghia Sofia, non riusciamo a farvi visita.

I cinque giorni seguenti sono tutto mare e relax nella penisola Calcidica, tra tuffi e bracciate nel mare cristallino, le verdi vette della selvaggia Sithonia e il silenzio dei monasteri ortodossi sulle coste off limits del Monte Athos... ma questo fa poco blog d’arte contemporanea, quindi ve lo risparmio.

Averoff Gallery - Metsovo
A ritorno, sempre sulla via che ci riconduce ad Igoumenitsa, lasciandoci alle spalle lo stupore della vista delle Meteore a Kalampaka, giungiamo alla nostra SECONDA TAPPA: Metsovo
Tipico paesino di montagna, tutto legno e mattoncini. Tra negozietti di souvenir e prodotti d’artigianato locale, tra profumi di arrosto e colate di miele su candidi yogurt, andiamo alla ricerca della Averoff Gallery.



Al di là della piazzetta centrale di un paesino di appena 3000 anime (7000 dopo l'accorpamento di diversi comuni), un museo di tutto punto di quattro piani con annessa terrazza panoramica sulle vette del Pindo ci riporta all’arte. Lo stile dell’edificio è conforme a quello del resto del paese. Forse il fascino sta proprio nel contrasto tra l’involucro architettonico e le opere che contiene. Contrasto che si acuisce man mano che si scendono i piani e l’arte si fa sempre più contemporanea ed imprevedibile. La galleria infatti ospita un'importante collezione di opere di artisti greci del IX e XX secolo, tra i quali Tsokos, Prosalendis e Lembesis, ma anche nomi più contemporanei, come Malalos, Moralis, Botsoglou, Moustakas, Paniaras, Prekas, Sorangas, Sperantzas, Tetsis, Fasianos e altri ancora.
Gran parte dei dipinti appartenenti alla collezione provengono dalla raccolta privata lasciata in eredità dal benefattore locale Evangelos Averoff Tossizza.
Children's Workshop- Averoff Gallery - Metsovo
Qui la sorpresa è stata sicuramente la piccola stanza dedicata ai ragazzi. Un laboratorio d’arte a tutto tondo, una sezione didattica coloratissima, piccola, ma che mette voglia di sperimentare, toccare, creare. Per i ragazzi, nel bookstore annesso al museo, sono in vendita anche due guide per andare alla scoperta delle opere esposte (Let's explore the Averoff Gallery, per bambini dai 6-9 anni, e Getting to know some of the themes of Greek Painting, per bambini dai 9-13 anni), puzzle delle opere e gadget di altro tipo.


Eccovi alcune foto, chissà, magari vi ispirano e quando sarete da quelle parti deciderete di deviare verso le mie due mete un po' meno archaeological e  un po' più contemporary.

Appartamento di George Costakis
State Museum of Contemporary art - Salonicco  

Petr Miturich, Ten cubes, 1919-21
State Museum of Contemporary art - Salonicco

Vsevood Sulimos Samuilo, Panel Fragments, 1927
State Museum of Contemporary art - Salonicco

Ivan Klium, Seven studies of color and form, ca.1917
State Museum of Contemporary art - Salonicco

Papayannis Thodoros, dalla serie My ghost, 1994
Averoff Gallery - Metsovo

Averoff Gallery - Metsovo

Giorgos Rorris, Portrait of Tatiane, 2002
Averoff Gallery - Metsovo

Papayannis Thodoros, Mother figures of Epirus, 1995
Averoff Gallery - Metsovo

Per saperne di più eccovi i link dei due musei: State Museum of Contemporary Art  Averoff Gallery

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mercoledì 30 maggio 2012

di Unknown

L'uovo Fabergé dalla corte dello zar alla chioma blu di Marge Simpson


Peter Carl Fabergé
Oggi Google con il suo Doodle ricorda il 166° anniversario della nascita di Peter Carl Fabergé. Le uova furono una realizzazione di gioielleria ideata presso la corte dello zar di tutte le Russie. Fra 1885 e il 1917 furono realizzate dalla compagnia Fabergé ben 57 uova di Pasqua in oro, preziosi e materiali pregiati.

A Londra quest'anno, nel periodo pre-pasquale, hanno organizzato una bella caccia al tesoro con mega uova tutte decorate da artisti, orafi, designer, architetti e stilisti di prestigio. Qualche nome? Mulberry, Sir Ridley Scott, Zandra Rhodes, Diane Von Furstenberg, Marc Quinn, Bruce Oldfield, the Chapman Brothers, Theo Fennell, William Curley, Candy and Candy, Zaha Hadid, Bompas and Parr, Polly Morgan e Tommy Hilfiger. 

Chissà se a Londra hanno preso spunto dalla puntata dei Simpson in cui Marge ruba una delle 12 uova Fabergè di Montgomery Burns, per aiutare una raccolta fondi di beneficenza? 

Organizzata da Fabergé, The Big Egg Hunt è stata sicuramente un'operazione anche di marketing, ma chi vi ha partecipato e ha vinto, si è portato a casa, senza doverlo nascondere tra i capelli come fece la signora Simpson, un preziosissimo esemplare di uovo Fabergé, il Diamond Jubilee Egg

Il gioco prevedeva la partecipazione dei londinesi: su ogni uovo, collocato in luoghi diversi della città, c'era una parola, un codice segreto che andava spedito via sms per poter partecipare all'assegnazione del premio finale. Gli sms naturalmente avevano un costo e i proventi sono finiti tutti in beneficenza ad associazioni che si occupano di tutela dei diritti dei minori, Action for Children e The Elephant family. In realtà l'idea prendeva spunto dalla tradizionale caccia alle uova pasquali.


Londra

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di Unknown

VideoPost | After Roma Contemporary


Si è conclusa la fiera d’arte contemporanea capitolina. Noi di Blarco abbiamo fatto un salto tra gli stand nel giorno conclusivo e in un momento di calma apparente.


L’arena dormiva sotto il sol di mezzogiorno, aperitivi privati andavano in scena tra baci e saluti di rito accanto alla sezione bookstore temporanea di Cura e Let’s Art che spacchettavano e impacchettavano cataloghi e simili. Non mancavano le gallerie e i loro cavalier galleristi, un po’ stanchi in verità, occupati in un estremo colpo di elegante fioretto ai collezionisti curiosi in cerca di buone occasione da accaparrare.

C’era anche qualche giornalista dell’ultimo minuto (d'altronde come noi), gli stand delle riviste web piene di buoni propositi, quelle non virtuali e gratuite di punta, quelle popolari e le fedelissime del cartaceo. A zonzo, tra una conferenza e l’altra, i critici omnipresenti, gli esperti, gli operatori di settore, gli studentelli appassionati e naturalmente non poteva mancare qualche artista in incognito sparso qua e là.

Giudizi? Sicuramente la sezione più interessante è stata la Start up, che riuniva le gallerie con appena cinque anni di vita.  

L’appuntamento è all’anno prossimo. Stessa ora e stesso luogo? Staremo a vedere … certo è che il Macro Testaccio ha sempre un suo invidiabile fascino.

Eccovi un video, tanto per rendere l’idea e il sapore dell’atmosfera che si respirava.


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giovedì 24 maggio 2012

di Unknown

Intervista singola alla coppia artistica Monticelli e Pagone

A. Monticelli & C. Pagone
Alessandro Monticelli e Claudio Pagone nel 1999 si uniscono con la sigla M&P. Una coppia di giovani artisti con un percorso già ricco di riscontri, frutto  della volontà sincera di fare arte. 
Li abbiamo incontrati in occasione della mostra Terrae motus. Shut out  al MU.SP.A.C. dell'Aquila. 
Se avete perso l'occasione di immergervi nei loro lavori dal sapore introspettivo soggettivo e dal retrogusto polemico quanto basta, riparate con una bella scorpacciata di "Perchè?" posti ad Alessandro che, con il beneplacido di Claudio, ha risposto alle nostre domande. Se non vi basta, guardate anche il video della mostra.


Sicuramente ve lo avranno già chiesto in mille. Ve lo domando anch’io. Chi era Alessandro Monticelli prima dell’incontro con Claudio Pagone e viceversa? Insomma, come nasce la sigla M&P?
Abbiamo intrapreso il percorso artistico singolarmente, ognuno con i propri temi, la propria tecnica, il proprio modo di vedere l’arte. Claudio trattava aspetti più figurativi, io più astratti. Pensa che abbiamo fatto il servizio militare insieme senza mai parlare di arte. In seguito ci siamo incontrati, per caso, in un magazzino indaffarati a comprare ferro, vernici ed altro materiale. Solo in quel momento abbiamo scoperto di dipingere entrambi. Così abbiamo cominciato a frequentarci attraverso l’arte. Abbiamo preso parte a diverse manifestazioni, premi, esposizioni sempre individualmente, fino a quando il confronto, le idee comuni, la reciproca contaminazione si sono trasformati in unione d’intenti. Abbiamo lasciato a poco a poco il lavoro individuale, soprattutto attraverso le installazioni e le performance, fino poi ad arrivare alle opere di pittura e scultura.

Nel panorama artistico contemporaneo, in cui spesso l’egocentrismo fa da padrone, quanto ha pesato questa vostra rinuncia al percorso individuale?
Non ha pesato molto lasciare una carriera da solista. Il tutto è avvenuto in maniera molto naturale, ci siamo resi conto che  questa cosa nuova che stava crescendo era più importante dei nostri singoli percorsi … poi destava molta curiosità il fatto di lavorare insieme.

Lavorare a quattro mani vuol dire anche mettere d’accordo due teste o, per rimanere in tema con i vostri lavori, mettere d’accordo due personalità. Quali sono i rischi e quali i vantaggi del lavorare in coppia?
Ogni opera nasce sempre dall’idea che abbiamo in quel momento, passa attraverso la matita, la macchina fotografica, il computer, il colore sulla tela… l’idea viene sviscerata sempre e completamente a 360 gradi. Noi siamo due persone completamente diverse, siamo caratterialmente opposti e per questo ci compensiamo. Devo ammettere che spesso realizzare un lavoro è davvero una bella fatica. A volte avviene in maniera più spontanea. Ad esempio può capitare che durante un viaggio in macchina per andare ad inaugurare una mostra, parlando si gettano le basi per un nuovo progetto. Il più delle volte basta un’idea e subito troviamo un punto d’incontro da cui partire.


Essendo di Sulmona come voi, mi chiedo cosa vi abbia spinto a rimanere ed aprire un vostro studio in questa città? Questa scelta cosa comporta?
Siamo nati a Sulmona e viviamo qui. Sicuramente non è il posto ideale per fare arte e questo vale soprattutto per l’arte contemporanea. Ma in realtà credo che non esista un luogo ideale, esiste forse un luogo mentale che non si calpesta e che non ha un nome. Qui è molto più facile, dal punto di vista pratico, avere uno studio. Forse, non vorrei peccare di presunzione, se avessimo scelto di spostarci ed aprire uno studio altrove, ad esempio a Roma o Milano, oggi ci troveremmo su un altro piano. Forse in questo paghiamo lo scotto del piccolo paese, in cui non hai la facilità di incontri e contatti delle grandi città.

Dal punto di vista tecnico ho notato che non avete una predilezione per un unico linguaggio, vi muovete senza difficoltà dalla tela alla fotografia, al video, alla performance ed installazione. Quanto conta per voi la parte tecnica di un lavoro?
Per noi è il mezzo che giustifica il fine. La tecnica è la strada principale del messaggio, la visione alla lettura del lavoro ne è condizionata.

Terrae Motus. Shut Out – Chiusi Fuori  è la mostra in corso al MU.SP.A.C. in questi giorni. Cosa ha significato per voi esporre in una città come L’Aquila?
L’arte quando si occupa degli eventi reali non lo fa mai banalmente ma sempre con un occhio molto originale, particolare, ed è quello che ci piace di più nel fare arte: esternare gli avvenimenti con un punto di vista nuovo ed inedito. L’arte contemporanea non è seguita dal grande pubblico. In questo caso una mostra sul terremoto rappresenta anche un’occasione per avvicinare il pubblico all’arte, tramite una tematica comune. Naturalmente c’è anche un altro fattore fondamentale da considerare: la forza terapeutica dell’arte in occasioni tragiche. Basti pensare in questo senso all’iniziativa di un grande personaggio come Lucio Amelio con la collezione Terrae Motus, nata in occasione del terremoto in Irpinia. Si tratta di segnali forti che arrivano dalla cultura.


Perché per la mostra all’Aquila avete scelto proprio la serie che riflette sull'identità prendendo spunto dalle macchie di Rorschach?  
Questa serie è quella che ci porta un po’ in giro per l’Italia. E’ come se fosse un tema fisso dal quale poi ogni volta svisceriamo una parte specifica. E’ una serie di per sé ambivalente. L’ambiguità di questi lavori si può anteporre o posporre ad ogni nuova situazione, ma senza alcun tipo di forzatura. Nel caso della mostra al MU.SP.A.C., abbiamo deciso di presentare la serie Rorschach con un accento un po’ tragico, con uno sguardo ambiguo, non chiaro; essendo questa la matrice stessa di questi lavori. Anche perchè ambiguo e subdolo è un terremoto che ti colpisce alle tre di notte e non ti dà modo di reagire. Inoltre da un evento così tragico salgono a galla tutte le doppiezze, le situazioni che in una realtà tranquilla è sempre difficile percepire. Shut out – chiusi fuori è questo: una realtà in cui non riesci più ad entrare, ma che inizialmente era la tua.

I test di Rorschach ruotano attorno alle risposte dell’individuo, risposte soggettive a stimoli comuni. Cosa vi aspettate dal vostro pubblico quando fate delle mostre? C’è mai stata qualche reazione che non avevate previsto e che in qualche modo vi ha stupito?
Delle grandi vendite, così Pagone sistema un po’ dei suoi creditori… Per quanto riguarda le reazioni, ricordiamo con stupore un vernissage al quale si presentarono una decina di pazzi che si confondevano tra gli invitati. In realtà erano venuti per sottoporsi al test di Rorschach. Uno di loro arrivò in macchina senza patente e fu prelevato dai carabinieri. Una situazione alquanto paradossale!

Un’altra parte del vostro lavoro si riconosce anche per la sua carica di denuncia. Penso ad opere come La Venere dell'immondizia, La carta igienica del critico o a 500 multe a regolad'arte . Quanto conta questo aspetto? 
C’è sempre la volontà di affacciarsi sulla realtà e nella realtà con una sorta d’ironia mista a denuncia. Non è una denuncia fine a sé stessa. Speriamo sempre che vada oltre, che lasci pensare, riflettere e  che non sia un’immagine che desti solo stupore, imbarazzo, divertimento. Insomma, che riesca ad andare oltre la prima impressione e che spinga verso nuovi interrogativi. Penso che l’arte contemporanea non debba dare risposte ma aiutare nel formulare  nuove domande, forse anche più attente, più critiche e meno banali.

E come la mettiamo con i grandi artisti, come ad esempio Pistoletto e Manzoni, da cui avete preso spunto?
Pistoletto rimase molto contento e divertito dalla nostra Venere dell'immondizia, ci fece anche i complimenti. Lo abbiamo fatto anche con un quadro di Goya per il delitto Misseri. In quel caso siamo stati anche molto criticati. Innanzitutto è una sorta di ripasso di storia dell'arte, non è mai un confronto o un paragone. E' una sorta di gemellaggio che a noi, fondamentalmente, diverte molto.

Progetti per il futuro?
A breve una collettiva intitolata Verosimile, in cui esporremo lavori della serie Rorschach e La Venere dell'immondizia. Inoltre abbiamo in cantiere due nuovi lavori a livello di installazione e performance.


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sabato 14 aprile 2012

di Unknown

A metà tra cielo e terra con Maia Flore


Sleep Elevations -Artothèque

Da bambina il mio film preferito era sicuramente Mary Poppins, rimanevo a bocca aperta quando con il suo cappottino nero ed il suo cappello pieno di fiori, tra un’incipriata ed un’aggiustatina al parrucco, con molta e femminile nonchalance, scendeva tra i tetti sorretta da un leggerissimo ombrello che da semplice oggetto di riparo si trasformava in magico paracadute.

Maia Flore, l’artista che espone la sua prima serie fotografica “Sleep Elevations” all’Artotheque di Roma, di magici paracaduti ce ne suggerisce a volontà: velieri a galla nell’aria, stoffe leggiadre, palloncini muticolore, altalene di legno e mongolfiere a strisce incatenate in trame di corda.

Le giovani ragazze dal volto coperto, tutte interpretate dall’artista stessa, si abbandonano alle contraddizioni della suprema legge di gravità, a metà tra sonno e risveglio, in bilico tra l’ascesa e la discesa.

La poesia di Miss Poppins, che lievitava sui cieli di Londra, qui va in scena in paesaggi orizzontali in cui il cielo lascia un po’ di spazio alla terra, tanto quanto basta per collocare l’eroina leggiadra dei sogni della Flore in atmosfere sempre nuove: dal candore dell’Islanda al color grigio cemento dei tetti parigini.

Per la Poppins bastava un supercalifragilistichespiralidoso, per la Flore un gioco di sovrapposizioni fotografiche e l’incantesimo è presto fatto!

Maia Flore è nata nel 1988 in Francia, a Montauban. Attualmente vive e lavora a Parigi dopo aver vissuto in Islanda e in Svezia, due paesi in cui la fotografia contemporanea ed i particolari studi della luce che questa comporta, hanno lasciato una viva traccia nella sua opera.

Se vi va di tornare un po’ bambini, nel mondo dell’immaginario in cui anche un corpo può lievitare da terra con la facilità con cui un gabbiano spicca il volo, vi consiglio vivamente questa mostra in corso a via Margutta numero 85. Avete tempo fino al 10 maggio. Volate!

Per maggiori info sull'artista www.maiaflore.com
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