martedì 20 marzo 2012

di Unknown

VideoPost | Percorsi migranti paralleli di Ali Assaf

Da neanche un anno il MUSPAC, museo sperimentale d'arte contemporanea a L'Aquila, ha riaperto i battenti in Piazza d'arti, con lo scopo di rintracciare e nel contempo ricreare ex novo, insieme alle altre associazioni presenti sul territorio, il tessuto sociale di una città "migrante" dal suo vecchio stato ante sisma,  al suo nuovo assetto post sisma, in termini non solo architettonici ma soprattutto umani.

Il tema dell'immigrazione, nelle sue molteplici varianti, è caro ad Ali Assaf, artista poliedrico che 35 anni fa si trasferì da Bassora, sua città natale, a Roma, senza mai perdere il legame profondo che lo lega al suo paese. Quasi come una sorta di occhio lontano ma vicino nell'animo...
I cinque lavori presentati al MUSPAC, nella personale "Eh... se fosse con noi...", dal 18 marzo al 4 aprile, sono uno specchio della condizione dell'immigrato.

"La mia ambizione era di lavorare con Federico Fellini e diventare un divo del cinema". E' la risposta di un immigrato quando gli viene chiesto"Perchè sei qui?".

A. Assaf,
Quell'oscuro oggetto del desiderio 
Ali ha posto la stessa semplice domanda ad un gruppo di persone mediorientali stabilitesi a Roma. Ogni risposta è legata ad una foto - ritratto che insieme alle altre compone una visione variegata delle sensazioni, ambizioni, problematiche, sogni, aspirazioni che spingono o costringono un uomo o una donna a lasciare il proprio paese d'origine, per muoversi altrove. Come non pensare anche a tutti gli aquilani costretti a lasciare le proprie case? 

Oltre questa carrellata di volti e sguardi schietti, così diversi e simili tra loro, l'artista riflette anche sull'immagine confezionata e veicolata dall'informazione e dai mass media, quando la distanza rende difficile la comunicazione con i propri cari.
In "Greetings from Baghdad", su scenari di guerra e campi petroliferi in fiamme, campeggiano in primo piano i volti sorridenti di tre persone che, in palese contrasto con lo scenario che li accoglie, inviano saluti ai parenti lontani come fossero inviati dei TG. 
Gli stessi sorrisi di circostanza che spesso i politici e le autorità si sono stampati in volto, quando venivano a far visita alle macerie del 6 aprile.

Simile il paesaggio offerto dal video  "I am Her. I am Him", in cui le esplosioni improvvise, per mano e mente umana, ricordano da vicino l'imprevedibilità, la pazzia e l'irrompere della natura con le sue catastrofi.

A. Assaf,
Lampedusa Checkpoint
La video installazione "Narciso" è stata presentata dall'artista all' ultima Biennale di Venezia ma, nel contesto del MUSPAC, moltiplica il suo potenziale comunicativo. Gli oggetti cimeli che sfiorano le mani dell'artista, senza essere afferrati, ricordano gli effetti personali e gli oggetti intrisi di ricordi che nei giorni seguenti il terremoto affioravano dai cumuli di macerie. E' l'identità che faticosamente si ricostruisce, con la nostalgia e l'amore per ciò che è stato.
  
Il video "Lampedusa Checkpoint" è una riflessione sulla condizione dell'immigrato nel momento di approdo nel nuovo paese: scalzo, dalle vesti candide, con il suo bagaglio di riti e usanze che difficilmente il luogo d'approdo accoglie. Anche in questo caso la similitudine è con gli sfollati del terremoto, un istante dopo l'accaduto, quando la speranza e la voglia di ricominciare sono ancora lontani ed il senso di inadeguatezza nel nuovo contesto non trova isole felici, malgrado il forte desiderio di integrazione.

Ed è proprio su tale desiderio che tutto il progetto "Percorsi migranti", di cui la mostra fa parte, getta le fondamenta per una ricostruzione intelligente: all'insegna della diversità e nel contempo nell'uguaglianza della condizione precaria che ogni immigrato, sfollato, uomo è costretto a vivere.

Invitandovi a visitare la bella mostra, a cura di Martina Sconci ed inserita nella serie di iniziative promosse dal Coordinamento 'Ricostruire insieme', eccovi un'anteprima dal vernissage del 18 marzo.


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mercoledì 14 marzo 2012

di Unknown

Sculture leggere di Akira Yoshizawa

A. Yoshizawa
L'abbiamo ripetuto in molti dei nostri post e le mostre che continuamente visitiamo ogni volta ce lo ricordano: l'arte non conosce confini in quanto a materiali e tecniche di espressione, se poi vi si aggiunge un tocco di poetica manualità e passione pura... voilà... dinanzi a noi avremo forme d'arte autentiche. 

Premessa doverosa per dire che Akira Yoshizawa senza dubbio merita l'appellativo di artista.Se questo nome non vi dice nulla, ascoltate questa storia:

La legenda vuole che tra il XVI e il XVII secolo, in Giappone, durante il periodo Edo, l'imperatore ebbe un'illuminazione. Perchè non donare al suo popolo tanti "oggetti di riconoscimento"? Piccoli doni di carta originariamente rappresentanti la gru giapponese, animale simbolo della felicità e del benessere. Nel corso dei secoli successsivi, la tradizione di questi regali di carta fu ripresa dalle varie dinastie che si susseguirono al potere. Un giorno arrivò nelle mani di un certo Akira Yoshizawa, che trasfornò questa antica tradizione da lavoro artigianale a vera forma artistica. 

Avete capito bene, stiamo parlando degli origami.
Google oggi dedica il suo Doodle proprio al signor Yoshizawa, nel giorno in cui nacque e, per uno scherzo del destino, morì (14 marzo 1911- 14 marzo 2005).

Figlio di un allevatore della prefettura di Tochigi, cominciò a lavorare in una fabbrica di Tokyo verso i 13 anni, per poi dedicarsi alla sua formazione da disegnatore tecnico. Spesso utilizzò gli origami per spiegare e rendere visibili problemi geometrici. Nel 1937 lasciò il lavoro in fabbrica e si dedicò completamente agli origami.
L'artista creò più di 50.000 modelli.

Qualcuno continua a definire questa pratica solo come artigianato. Per noi che ci emozioniamo dinanzi alla semplicità, i modelli di Yoshizawa sembrano sculture senza peso con chili di emozioni.
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di Unknown

La poesia e la forza nel segno di Strazza e Tito

Diciamocelo francamente... La grafica in Italia non ha mai riscosso grande interesse da parte della critica né del collezionismo. 
Da tempo, però, Giuseppe Appella si muove alla ricerca e diffusione di questa arte così sofisticata e che ha il sapore dolce di antico. 
Spesso proprio gli artisti la praticano in maniera marginale, relegandola ad intimo e personalissimo vezzo artistico, il più delle volte sconosciuto perfino al loro fedele pubblico. Strano, però, che proprio nella grafica e nelle molteplici varianti che questa nasconde,  spesso si celi la vena più pura di un artista. Quasi ci fosse una sorta di distanza minima tra il suo pensiero/intenzione e l'opera fatta. 

Dal 10 febbraio, le suggestive mura della galleria romana Sala 1 ospitano un faccia a faccia a colpi di segni, tra due artisti che la grafica la conoscono davvero bene. Appella, curatore d'eccezione,  volendo dare nuovo rilievo a questa forma artistica, presenta una selezione sapiente di lavori, dagli anni Cinquanta ad oggi, di due artisti storici, che come pochi, si sono confrontati nella ricerca incisoria. 

G. Strazza, Trama quadrangolare, 1978
Guido Strazza è uno dei più conosciuti artisti italiani in questo campo. Soprattutto anche grazie al rilievo critico e storico conferito da lui alla disciplina, tramite una ricerca teorica parallela alla pratica.
Non a caso l'auterovole voce di Argan, a riguardo affermava:
"Dell'arte incisoria non esistono, che io sappia, trattazioni analitiche altrettanto vaste e addentrate: la ricerca penetra fino alla sorgente e alla prima mossa del gesto grafico, alla qualità dei mordenti e degli inchiostri, alla grana delle carte, alla microplastica dell'immagine incisa. Quella critica è in parte scritta con intento didattico, ma per lo più è interna al fatto artistico"



T. Amodei, Deposizione, 1961
Tito Amodei, al contrario, conosciuto in qualità di scultore e pittore, è autore di un corpus grafico notevole ma pressoché sconosciuto.
Se fino agli anni '80 la grafica rappresenta quasi un aspetto secondario del suo lavoro, quasi un mezzo preparatorio e di studio, d'ausilio alla scultura, dagli anni '90 in poi il segno diviene autonomo, non più come mezzo ma soggetto stesso dell'opera, una sorta di "segno significante", come lo definì A. Rubini

A volte sembra quasi che alla forza segnica dell'artista non sia sufficiente la grafica e il discorso si completi solo attraverso la scultura. Forse non a caso in occasione della mostra a Sala 1, campeggiano in fondo alla sala, le opere di Tito scultore che meglio evidenziano questo magico legame tra le due attività artistiche.

Mostra interessante per ammirare l'opera di Strazza e per scoprire da vicino la passione e la forza di Tito. 
Affrettatevi perché la mostra chiude i battenti il 10 aprile.

Per info www.salauno.com
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martedì 13 marzo 2012

di Unknown

VideoPost | Il potere della creatività secondo Guido Fabrizi

Nome: Guido.
Cognome: Fabrizi.

Diplomato presso l'istituto Superiore di Fotografia di Roma, negli anni '90 inizia un percorso professionale che lo vedrà spesso occupato in varie campagne fotografiche. 
Dal 2002 comincia a lavorare con agenzie pubblicitarie multinazionali. 
Nel 2011 è stato uno dei tanti artisti che ha optato per il sì a Vittorio Sgarbi nell'ambito della Biennale di Venezia, nel Padiglione regionale a Roma. La sua lettera aperta, pubblicata sulle pagine del quotidiano "Il Giornale", diede una risposta secca al polverone dei no e alle critiche che si moltiplicavano a non finire nell'afa estiva.
"Io fotografo senza padrini non mi vergogno di aver detto sì alla Biennale"
Senza far differenze di casta né di politica e credo, il sì disinteressato di Fabrizi rimbomba come un inno alla libertà creativa, tanto quanto un no ben ponderato...

La libertà di pensiero e di scelta, che si tratti di un sì o di un no, è indice di un'arte pura slegata dai lacci e impalcature del sistema. 

Gli unici meccanismi con cui l'arte deve fare i conti  ci si augura che siano quelli della creatività...Via d'uscita dei vecchi e nuovi "Tempi moderni".

Eccovi un video reinterpretato da Guido Fabrizi che ci ricorda, tramite Chaplin, la forza della creatività, che forse non a caso fa rima con libertà.




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sabato 3 marzo 2012

di Unknown

L'arte terapia non sta alla schizofrenia come la schizofrenia sta all'arte

L'Art therapy, disciplina che comincia a prender piede dagli anni '50 in poi, sembra non funzionare nei pazienti malati di schizofrenia. 
A decretarne l'effetto nullo è uno studio pubblicato sulla versione on line del "British Medical Journal".

La terapia, come altre d'ausilio ai farmaci,era da tempo utilizzata nella cura dei pazienti, ma fino ad oggi nessuno studio serio ne aveva messo in luce i reali effetti. Lo ha fatto ora un team di ricercatori del Centre for Mental Health dell' Imperial College di Londra.

417 pazienti schizofrenici, con un età media di 18 anni, hanno partecipato alla ricerca. Sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo gruppo è stato sottoposto per 12 mesi a sedute settimanali di arte-terapia più cure standard; il secondo gruppo con la stessa cadenza è stato sottoposto ad altro tipo di terapia più il trattamento standard; il terzo gruppo è stato curato esclusivamente tramite trattamento standard. 
A fine cura, tra i tre gruppi, in quanto a risultati ottenuti, non è emersa alcuna differenza. 

E pensare che leggendo biografie di artisti, molto spesso la schizofrenia va a braccetto con la creatività più pura.

Pensate ad esempio ad Edvard Munch, molto probabilmente affetto da una sindrome schizoide. La lista sarebbe ancor lunga, soprattutto includendo nel discorso anche artisti che sfiorarono la pazzia vera e propria. Tormento, autodistruzione, depressione, ossessioni... occhi e cervelli malati e visionari tornano spesso nelle vite dei maggiori artisti, spesso come semi germogliati in atti di pura creatività.

Siamo sicuri che i 417 pazienti fossero affetti da schizofrenia? E se fosse semplice creatività che non vuol esser curata?



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lunedì 27 febbraio 2012

di Unknown

Video Post | Bruno Munari e la fantasia

Bruno Munari è stato uno dei massimi rappresentanti dell'arte del secolo scorso. Con il suo fare poliedrico ha sperimentato nel campo della pittura, scultura, grafica e design.

Con occhio sapiente ha guardato all'arte e alle sue molteplici forme scovando la chiave di lettura giusta per avvicinare anche i più piccini alla pazzia e misura della fantasia.

Nel video che vi proponiamo l'artista prova a dare una sua definizione di fantasia.
La semplicità delle sue parole e la forza della sua ricerca lo rendono ancor oggi un punto di riferimento da tener sempre presente.





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domenica 29 gennaio 2012

di Unknown

Cattelan scrive Celentano risponde

Uno scambio epistolare tra due artisti del nostro tempo, due provocatori sempre un gradino al di sopra di noi per guardarci e restituirci le nostre debolezze di uomini sotto forma di musica e arte strabordante. 

Di chi parliamo? Maurizio Cattelan ed Adriano Celentano.

Mentre in Italia si scatenano le polemiche riguardo la partecipazione del Molleggiato al Festival di Sanremo, un' intervista dialogo tra i due va in scena sulle pagine di Interview, versione tedesca della rivista fondata da Andy Warhol.

Tre lettere di Cattelan e due di Celentano in cui, tra ricordi personali e moniti reciproci, si insinua uno sguardo leggero e diretto verso una società colma di contraddizioni banali.

M.  Cattelan
Ammirazione tra i due artisti che in comune hanno la passione per la denuncia e la bellezza bizzarra delle loro idee.

Ad esempio Celentano riguardo l'arte di Cattelan afferma: "Ritrovo una certa follia, dove anche io mi riconosco, che spiega più di tutti il mondo in cui viviamo".

Un mondo che nell'arte di Cattelan ci viene restituito senza sconti, con visioni inaspettate e potenti, tanto quanto i miti di un tempo. Basti pensare al dito medio che si erge in Piazza Affari a Milano al pari di un eroe a cavallo.

E che dire invece delle strofe di Celentano, ad onor del vero più recitate in monologhi che cantate, che ancor oggi ritornano come un dito nella piaga nel balletto triste della società?
Noi, come Cattelan, attendiamo che al Festival Celentano ci regali "qualche minuto di libera imprevidibilità". Ingrediente fondamentale per qualsiasi tipo di arte.
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