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giovedì 31 marzo 2011

di Unknown

Nam June Paik "Il Rembrandt del video"


 Il 13 marzo hanno chiuso i battenti sia la grande retrospettiva della Tate di Liverpool, sia la concomitante piccola mostra a cura di Achille Bonito Oliva, IV appuntamento espositivo della Fluxus Biennial presso gli spazi dell'Auditorium Arte di Roma. 
Entrambe le mostre hanno reso conto dell’attività di Nam June Paik.
I fortunati visitatori della mostra britannica hanno avuto l'opportunità di ammirare circa 90 opere appartenenti a tutte le fasi della carriera artistica di Paik, molte delle quali inedite ed esposte per la prima volta nel Regno Unito, accanto ad una ricca selezione di materiale documentario relativo ad alcune sue performance.
All'Auditorium romano, nonostante il numero esiguo delle opere presentate, lo spirito eccentrico e poliedrico dell'artista è stato comunque messo in risalto.
La prima installazione è “Cage in Cage” del 1989, una gabbia per uccelli in cui l’artista ha inserito un piccolo schermo che trasmette una performance di Cage in una strada di New York nei primi anni ’70 con l’aggiunta del sonoro di uno spot pubblicitario nord coreano. Il risultato è un mix di media differenti che riconduce ad un mix culturale.

N. J. Paik, Homage to Pitagoras
“Homage to Pitagoras” gioca anch’esso su effetti visivo sonori imbastiti tramite schermi montati e assemblati  che alludono esplicitamente all’antico teorema.

N. J. Paik, Candle TV- Buddha

Come contraltare alla Babele di video e suoni delle due installazioni precedenti, la silenziosa “Candle TV- Buddha” del 1990, in cui del caos mediatico e culturale sopravvive solo l’involucro superficiale di una televisione, contenente una candela accesa e la statua di un Buddha in meditazione. A completare la mostra anche una serie di fotografie in bianco e nero su alcune performance dell’artista.
Ma chi è Nam June Paik?
Nato a Seoul nel 1932 e morto a Miami nel 2006, artista ma anche musicista, si laurea a Stockhausen e si specializza in Germania studiando con Arnold Schonberg.
Profondamente coinvolto dal mezzo tecnologico della tv,  è considerato il padre della video arte, data la sua pionieristica capacità di trasformare il linguaggio tecnologico in espressione artistica, tant’è che è stato definito dalla critica "Il Rembrandt del video".
Il suo primo intervento consiste nell’avvicinare una calamita al tubo catodico modificando il circuito orizzontale e verticale di modulazione, determinando una serie di distorsioni dell’immagine, forme, colori e suoni, movimento e tempo fino a risolverle in una decostruzione totale tendente all’astratto. Testimonianza emblematica di tale procedimento rimane “Magnet TV” del 1965.
Paik è stato anche il primo ad usare nel 1965 la telecamera portatile per la registrazione dal vivo, la portapack Sony Av 3400, appena apparsa in commercio, con cui realizza “Cafè Gogò” e “Bleecker Street”: videotape che registra non un evento artistico ma un evento banale collaterale e in secondo piano rispetto ad un evento storico (il traffico della Fifth Avenue a New York il giorno della visita di Paolo VI), riproposto la sera stessa in un ritrovo artistico. Un evento qualunque, modificato e reso artistico dal luogo in cui è presentato. Medesimo excursus del ready-made alla Duchamp!
Paik tramite la manipolazione ossessiva del segnale elettronico delle trasmissioni e delle registrazioni, creando videosculture e videoinstallazioni, dà vita ad una nuova era dell'arte, d'altronde lui stesso affermava:

Come la tecnica del collage ha rimpiazzato la pittura a olio, allo stesso modo il tubo a raggi catodici rimpiazzerà la tela. Un giorno gli artisti lavoreranno con i condensatori, le resistenze, i semiconduttori come oggi lavorano con i pennelli, i violini e materiali vari


Le notizie relative alla biografia e tecniche dell’artista sono tratte da S. Bordini (a cura di), Arte contemporanea e tecniche, materiali procedimenti, sperimentazioni, Carocci editore, Roma 2007.
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venerdì 10 dicembre 2010

di Unknown

Convegno: Giulio Carlo Argan intellettuale e storico dell'arte, Roma, 9-11 dicembre 2010

Ieri mattina nell'Aula Magna del rettorato de La Sapienza a Roma, si è aperto il convegno su Giulio Carlo Argan. Testimonianze, ricordi e analisi intorno ad uno dei maggiori critici d'arte del Novecento.
Il Convegno, che conclude i lavori inaugurati da una giornata di studi tenuta ai Lincei nel 2009, rientra nel fitto programma di iniziative promosse e coordinate dal Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario dalla nascita di Giulio Carlo Argan (1909-1992), istituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e posto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.
Le tre giornate, promosse in collaborazione con il Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo della Sapienza, daranno testimonianza della riflessione critica su Argan come intellettuale e storico dell’arte attraverso ricerche documentarie e contributi di studiosi e allievi. 

La maggior parte di noi associa questo nome al manuale di storia dell'arte studiato durante il liceo ma i più informati sanno che Argan fu molto di più. 
Classe 1909, negli anni Venti frequenta l'ambiente culturale gobettiano e si forma all'Università con Lionello Venturi, ricevendone l'esempio di una critica di impostazione crociana, ma estesa anche all'arte contemporanea e all'architettura. Nel 1933 entra nell'Amministrazione delle Antichità e Belle Arti. Elabora il progetto dell'Istituto Centrale del Restauro. Interviene, nel dopoguerra, in difesa dell'arte astratta e dell'architettura moderna, occupandosi anche di urbanistica, di museologia, di design. Pubblica monografie su artisti rinascimentali e porta avanti la rivalutazione dell'arte barocca, della pittura inglese dell' Illuminismo e del neoclassicismo europeo. Nel 1955 inizia l'insegnamento universitario, prima a Palermo e poi a Roma. Nel '58 è membro della CIHA (Comité International d'Histoire de l'Art), di cui nel '79 diviene presidente. Dal '63 al '66 è presidente dell'AICA (Associazione Internazionale dei Critici d'Arte). Nel 1968 pubblica la "Storia dell'Arte italiana" seguita poi da "L'arte moderna 1770-1970". Dal'76 al '79 è sindaco di Roma. Dall '83 al '92 è Senatore del PCI per due legislature. Nel 1987 è eletto Presidente emerito della Casa Editrice Einaudi. Negli ultimi anni si dedica alla difesa del patrimonio artistico e alla riforma delle leggi di tutela. 

Del convegno in corso vi segnalo gli interventi che riconducono l'attività del critico all' arte contemporanea: 

-“Argan: Studi e note”. L’arte contemporanea dal 1945 al 1955. 
-Argan. Arte e tecnica 
-Argan e la militanza nel contemporaneo 
-Quarant’anni di amicizia senza un’ombra: le carte di Vedova nell’Archivio Argan. 
-Argan e l’Informale 
-Argan e l’eretico precursore: lettere inedite e scritti su Picasso (1947-57) 


In occasione del Convegno è allestita una mostra nell'Atrio della ex Facoltà di Lettere e Filosofia (dal 7 al 23 dicembre)


Per maggiori informazioni e dettagli sul programma http://www.giuliocarloargan.org/

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domenica 5 dicembre 2010

di Unknown

Carla Accardi al Museo Bilotti. Spazio, ritmo e colore.

Nella suggestiva cornice dell’Aranciera di Villa Borghese, presso il Museo Carlo Bilotti, la capitale rende omaggio ad un’artista nota al pubblico internazionale ma d’origine siciliana e romana d’adozione fin dal secondo dopoguerra: Carla Accardi.

Pavimento in feltro, 2010

L’intento della mostra, a cura di Pier Paolo Pancotto, è riflettere sui suoi sessant’anni di lavoro rintracciandovi coerenza ed esemplarità. Una mostra antologica ma anche inedita dei lavori meno conosciuti dell’artista, privilegiando quelli con una spiccata intenzione ambientale, raddoppiata dal confronto con gli spazi propri di questo piccolo museo.
La mostra si apre con Gli ombrellini, opera del 1999 in sicofoil e plexiglas, uno dei frutti della sua instancabile sperimentazione materica. L'esposizione non segue un ordine cronologico. A confronto e con continui rimandi reciproci, sono esposti lavori dei primi anni e lavori recentissimi, come il Pavimento in feltro calpestabile, del 2010, una delle opere che ci accoglie al pian terreno del museo e creato appositamente per l’occasione. Sullo sfondo Stendardo Don Chisciotte del 2009. In questo stesso spazio, come arazzi moderni trafitti da luce che lascia l’impronta, sono esposti anche i famosi Lenzuoli, dipinti tra il 1972 e il 2008 e che segnarono il ritorno dell’artista al colore.

Lampade, 2010

Procedendo si arriva in una sezione in cui la sperimentazione è tutta rivolta alla luce tramite la serie di Lampade in plexiglas e vernice su plastica degli anni’ 70, marchiati con i caratteristici ideogrammi e qui disposti come fiori geometrici o colorati tubi cilindrici ripieni di luce che germoglia dalla terra.




Tuono, 1998
Nell’ ambiente successivo la performance Tuono in cui una luce ed una voce, a metà tra serio e faceto, si azionano in sincrono, accordando al proprio ritmo una tela, disposta morbidamente ad angolo retto tra la parete ed il pavimento. Una scultura ed una serie di tavolette in ceramica policroma, esposte lungo il corpo scala, accompagnano il pubblico nelle tre salette contigue superiori in cui sono esposti una serie di Lavori su carta, inediti e diversi per data e tecnica. Disposti secondo un andamento non tradizionale ma atto a delineare il particolarissimo ABC pittorico di questa artista mai banale. Alcuni sono in bianco e nero, tipici della sua produzione anni ’50, altri alla ricerca dei colori, dal viola deciso all’ arancio sgargiante. 

I lavori esposti al Museo Bilotti, dal 1 dicembre al 27 febbraio 2011, meritano davvero di essere visti.
Come in un atelier d’artista le opere invadono gli spazi che le accolgono e si accordano l’una all’altra come una sorta di grande ed unica "Installazione Accardi".  Le opere sono liberamente fruibili sia in assolo che in concerto tra loro. Al visitatore non resta che cercare le proprie note d’accordo ed immergersi.
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giovedì 25 novembre 2010

di Unknown

Occasioni perse: MAXXI imballa Gino De Dominicis...

Il 7 novembre ha avuto termine la retrospettiva dedicata dal MAXXI a Gino De Dominicis a cura di Achille Bonito Oliva. 
La mostra ha preso in esame i nodi tematici e iconografici più cari all'artista: la materia e l’entropia, il rovesciamento prospettico e l’ubiquità, la metamorfosi e l’evoluzione, il confine tra visibile e invisibile, l’ironia, la sospensione tra passato e avvenire. Su tutti domina una costante: l'immortalità.
Per chi si fosse sbadatamente perso la mostra eccovi alcune pillole sul poliedrico ed eccentrico artista e su una selezione personale delle opere esposte. Una sorta di "Se foste andati... avreste visto..". Occasione persa perchè in questa "era della riproducibilità tecnica dell'opera d'arte" in cui le immagini sono riprodotte all'infinito, i lavori di De Dominicis rimangono rari da vedere. Fu l'artista più attento nell'evitare di catapultare se stesso e i suoi lavori nel sistema dell'arte e quando poteva evitava cataloghi, mostre e tutto l'ambaradam che crea e nel contempo distrugge l'aura. Il catalogo pubblicato da Electa, che accompagna la mostra, è la prima monografia di riferimento per una conoscenza esaustiva dell'artista. 
Calamita cosmica
Nel cortile del Museo avreste trovato ad ad introdurvi alla mostra Calamita cosmica, una delle opere più ambiziose di De Dominicis, anche se voci di corridoio affermano che non appena l'opera fu realizzata l'artista ebbe molto da ridire, non soddisfatto dal risultato finale. Malgrado lo scetticismo dell'autore io l'ho trovata fantastica. Non è tanto la dimensione ad assalire lo sguardo, anche se per essere sinceri la sensazione provocata dai 24 m di scheletro è quella di un lillipuziano al cospetto di un gigante. A catturare lo sguardo sono i vuoti tra le costole che evocano i pieni di una vita apparentemente assente. L'equilibrio e la forza gravitazionale dell' asta dorata sono linfa vitale e donano alla mastodontica scultura un tempo ultraterreno.
Mozzarella in carrozza, 1970
Entrando nel museo ci accoglie l'ironia di Mozzarella in carrozza lavoro che quando venne presentato all’Attico nella collettiva del ’70 suscitò molto scandalo. E' una delle opere che ha spinto la critica a collocare l' artista nel "Concettuale". Le parole sono qui materializzate, visualizzate. E' inoltre la messa in discussione del meccanismo del ready made duchampiano fondato sull'idea che la galleria o il museo abbiano il potere di trasmutare in opera d'arte qualunque oggetto in essi esposto. La mozzarella rimane tale pur trovandosi nel lussuoso contenitore: meccanismo che non funziona!
Dal fondo del corpo scala subito si fa notare - pardon.... Si sarebbe fatto notare -, la risata di D’io, anche qui un gioco di parole: di me stesso/Dio. Qui l'opera si fa impalpabile, fatta solo di suono, opera invisibile.
I lavori esposti erano 130 in totale, impossibile descriverli tutti. Bastano i già citati per farvi rimpiangere l'evento. Tra orologi senza tempo, tracce di geometrie e geometrie sospese, ironici necrologi e nasi adunchi come becchi, il MAXXI saluta l'artistata singolare che De Domincis fu,  quest'uomo elegantemente vestito sempre immerso in instabili equilibri tra scienza e irrazionale.
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martedì 23 novembre 2010

di Unknown

Not only Contemporary Art: una domenica ai Musei Capitolini

Spesso giro per Musei, Gallerie, Fondazioni, alla scoperta di news o arte già da manuale ma sempre e comunque contemporanea. 
Domenica ho fatto un cambio di rotta e ho scelto di fare un giro nel cuore di Roma. Cuore antico politico e artistico: il Campidoglio. 
Lo sapevate che il Museo Capitolino è il Museo pubblico più antico al mondo?

La nascita dei Musei Capitolini viene fatta risalire al 1471, quando il papa Sisto IV donò al popolo romano un gruppo di statue bronzee di grande valore simbolico. Le collezioni hanno uno stretto legame con la città di Roma, da cui proviene la maggior parte delle opere. Il Museo fu però aperto al pubblico solo in seguito all'acquisizione della collezione di statue e ritratti del cardinale Albani ad opera del papa Clemente XII, che lo inaugurò nel 1734.
Lupa Capitolina
V sec. a. C., bronzo
Mi dilungherei troppo nel parlare di tutte le collezioni oggi visibili nei Musei Capitolini. Ve ne sono davvero tante. A queste si aggiungono molte opere frutto degli scavi archeologici di Roma, la Pinacoteca e le mostre temporanee (se riuscite ad andare prima del 5 dicembre troverete esposto in pompa magna, nella Sala degli Arazzi in Palazzo dei Conservatori, un bozzetto di Michelangelo: "I due lottatori").
Il mio vuol essere solo un invito a tralasciare ogni tanto inaugurazioni e conferenze stampa di una "Contemporary Rome" e volgere il nostro sguardo "all'Antiqua Roma". Ripartire dalla fondazione, dalla Lupa Capitolina, da Romolo e Remo, tanto per esagerare.
Il problema delle città artistiche, per Roma soprattutto, è per chi ci vive. Abitua lo sguardo alla bellezza straordinaria dei suoi monumenti dimenticandone l'eccezionalità. Ho sentito di gente che vive da anni a Roma e ancora non ha visto la Cappella Sistina, ma gironzola tranquilla tra aperitivi d'arte e vernissage ad invito. Buffo? Io direi un po' triste.
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lunedì 8 novembre 2010

di Unknown

KEVIN FRANCIS GRAY... memorie contemporanee

Inaugura domani negli spazi di Sala1 la mostra di Francis Kevin Gray, per la prima volta a Roma. 

Tra le penombre e le alte volte della suggestiva galleria romana, dal 9 novembre sino al 6 dicembre sostano in attese sterili, a metà tra bellezza neoclassica e macabri risvolti, le sculture di quest’artista internazionale dal sangue irlandese. 

Il passato, tutto nella forma, il presente underground e metropolitano, tutto nei soggetti e nei dettagli. Gray restituisce l’aura alla scultura ma lo fa con accenti contemporanei. Le sue figure poggiano su veri e propri piedistalli, quelli dalle forme più tradizionali ma lo fanno con scarpe da tennis o tacchi a spillo perfettamente modellati. Anche nei materiali l'incanto dei contrari: il candore antico del marmo nero, la lucentezza del bronzo e la leggerezza della resina si mescolano all’opulenza dell’oro e al glamour delle perline che celano teschi inaspettati.

Ghost Boy, 2007
Fiberglass Resin, Glass Crystal Beads, Wood Pedestal


La ricerca di Gray non è esclusivamente artistica, materica, tecnica, la ricerca scultorea si trasforma in approfondimento antropologico ed infatti nella nota critica di M. Cavallarin si legge: “permane una raggelante indagine antropologica, uno srotolare dimensioni e geografie, una visionaria smagnetizzazione della sua realtà sociale e generazionale.” L’indagine sociale si fa esplicita soprattutto in Ghost Boy, del 2007. Il passo statico e lo sguardo basso celano una gioventù disintegrata che del volto perde le fattezze e si fa scheletro. In altre sculture il volto è velato e si fa incognita, come in Face- off, un bronzo del 2007. 

Kevin Francys Gray nasce in Irlanda del Nord nel 1972. Vive e lavora a Londra. Ha esposto in numerosi musei prestigiosi di Londra, Parigi, New York, in Korea e Canada. Molte delle sue opere sono presenti in importanti collezioni italiane ed estere.








Sala 1 in collaborazione con Changing Role
Vernissage Martedì 9 Novembre ore 18:00 fino al 6 Dicembre 2010 
martedì-sabato 16,30-19,30

Sala1 Complesso monumentale della Scala Santa/ Padri Passionisti
Piazza di porta San Giovanni, 10 Roma
www.salauno.com
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giovedì 23 settembre 2010

di Unknown

Visioni future

O Zhang , Horizon, 2004
Futurspectives "Può la fotografia interpretare il futuro?"
Questo il tema della IX edizione del FOTOGRAFIA FESTIVAL INTERNAZIONALE DI ROMA ospitato per la prima volta negli spazi del MACRO FUTURE. Tre le sezioni che indagano e scardinano l'idea della fotografia come memoria, mezzo rivolto solo ed esclusivamente al passato e all'attimo.

A cura di Paul Wombell la sezione di fotografia e arte contemporanea. I fotografi interpretano il futuro rendendo visibile ciò che sarà. "BUMPY RIDE" raccoglie il lavoro di fotografi contemporanei che utilizzano sia l'analogico che il digitale per interrogarsi sul domani. Iikka Halso propone una musealizzazione della natura a scopo salvifico. Jill Greenberg preannuncia le tragedie del futuro attraverso le lacrime a colori di bambini occidentali ai quali fanno da contraltare gli sguardi dei loro coetanei cinesi nel faccia a faccia con l'obbiettivo di O Zhang.
Jill Greenberg,
 Earth, End Times, 2005
Sulle possibili metamorfosi della città il fiction flash viaggia su una Londra infuocata di Ebru Erülkü o una Los Angeles irreale di Mirko Martin.

A cura di Valentina Tanni la sezione più interessante: fotografia e new media. Intitolata "MAPS AND LEGENDS". La fotografia che vive in rete, come fosse un nuovo luogo, ne adotta i modi e i tempi. Mappe, leggende, gif animate, fotografie virtuali, reali e non di Google street view.
La sezione su fotografia e editoria curata da Marc Proust "UNPUBLISSHED- UNKNOWN" presenta una selezione di lavori ancora non pubblicati. Forse per contraddire chi ritiene che la pubblicazione sia, insieme allo scatto, indispensabile allo statuto ontologico della fotografia.
Moltiplicatore di sguardi ed esperienze il nuovo fotografia festival di Roma ci spinge verso un futuro sempre più reale e meno fantasioso in cui speranze e preoccupazioni rimangono però solo potenziali.
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FOTOGRAFIA
Festival Internazionale di Roma - IX Edizione
24 settembre - 24 ottobre 2010
MACRO TESTACCIO
Piazza Orazio Giustiniani, 4 Roma



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