Maurizio Cattelan è tornato nuovamente e come sempre a far parlare gli addetti e non del mondo del contemporaneo. La sua opera dal titolo Kaputt, è stata esposta nei pressi di Basilea, proprio alla vigilia della fiera d'arte Art Basel, l'evento che da Venezia sposta l'epicentro dell'arte e del mercato in Svizzera.
In realtà si ha a che fare con una riproposizione, in versione diversa, della sua opera del 2007 Untitled. Cinque cavalli imbalsamati, letteralmente appesi e con le teste conficcate nel muro. L'opera rimarrà esposta alle porte di Basilea, nel museo di arte contemporanea, fino al 6 ottobre prossimo.
Louise Nevelson, foto scattata da Robert Mapplethorpe
Louise Nevelson aveva le idee chiare fin da bambina, da quando in una biblioteca di Rockland, nel Maine, chiesero a lei a alla sua amica cosa sarebbero volute diventare da grandi. Blanche rispose che sarebbe diventata una contabile. La piccola Louise, senza titubanza alcuna, rispose:
"Sarò un artista, anzi no, sarò uno scultore perché non voglio essere aiutata dal colore"
Louise, alla nascita Leah Berliawsky, è diventata una scultrice, anzi la madame della scultura della seconda metà del '900. Infaticabile sperimentatrice, votata all'arte in toto, anche nei momenti più bui della sua vita, sarà sempre l'arte la sua migliore amica.
Decisa a non sposarsi, si sposò invece subito dopo aver incontrato Charles Nevelson, matrimonio accettato più per convenienza che per amore, interrotto dopo anni perché più che un marito Charles fu per lei una sorta di socio e lei non aveva bisogno di una società. Dal matrimonio ebbe il suo primo ed unico figlio, Mike.
Indipendente, libera, forte tanto quanto fragile, Louise fu presa a modello anche da esponenti del movimento femminista degli anni '70. Basti pensare che Judy Chicago inserì il suo nome tra quelli delle donne ricordate nella sua installazione The Dinner Party (1974-1979).
Ma Louise Nevelson non sentì mai l'esigenza di proclamarsi femminista, lei fu la liberazione della donna, così, naturalmente. Si sentiva talmente donna e talmente libera da non dover portare i pantaloni. Molto probabilmente fu merito del padre, Isaak Berliawsky, che all'inizio del '900 tenne alla formazione scolastica e culturale per tutti i suoi figli, indifferentemente dal sesso. Più che di femminismo, a cui tra l'altro la critica spesso rimanda, per Nevelson è bene parlare di sensibilità femminile. Sensibilità tutta palesata nel suo modo di lavorare e di interpretare, attraverso il gioco dell'assemblaggio, l'oggetto prelevato dalla vita quotidiana, spesso dall'ambito domestico, salvandolo così dall'oblio.
Le opere di Louise Nevelson, scultrice statunitense ma di origine ucraina, saranno esposte fino al 21 luglio nella mostra organizzata da Fondazione Roma-Arte-Musei, presso Palazzo Sciarra. Una mostra che racchiude opere dagli anni '30 agli anni '80, corredata da un corpus fotografico che racconta le vicende e il carattere dell'artista.
L. Nevelson, Homage to the Universe, 1968
Dai piccoli scrigni alle grandi pareti, dalle sculture da tavolo a quelle dall'andamento verticale, tutti i suoi lavori, come castelli, ci raccontano un mondo fatto di ricordi intimi e collettivi, ma anche storie di oggetti in bilico tra passato e presente. Dal nero al bianco e dal bianco all'oro, dai muri alle porte, dai totem alle sculture libere nello spazio, dal piccolo al grande... in tutte le sue sculture/installazioni, la fantasia accumulatrice, l'istintiva capacità compositiva e la poetica dell'assemblaggio inscrivono un percorso ricco di rimandi ed echi.
Mostra da non perdere e per i più piccini non dimenticate gli appuntamenti organizzati da Fondazione Roma-Arte-Musei e WorkInProject (qui trovate tutte le info), un modo divertente per avvicinare i bambini al mondo dell'arte contemporanea.
Totem di famiglia, didattica per mostra Louise Nevelson
(Link foto)
Il 16 novembre 1955 l'artista autodidatta italo-americano Marino Auriti depositava presso l'ufficio brevetti statunitense i progetti per il suo Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell'umanità, collezionando le più grandi scoperte del genere umano, dalla ruota al satellite.
Sarà per la complessità del progetto, o forse per la dolcezza del sogno incompiuto o semplicemente per il fascino dell'utopia, in bilico tra reale e immaginario, che Massimiliano Gioni, il giovane curatore della 55. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, ha cercato la sua ispirazione nell'abruzzese Auriti e nel suo modellino architettonico di 136 piani, intitolando la sua mostra ricerca, per l'appunto, Il Palazzo Enciclopedico.
Marino Auriti, Palazzo Enciclopedico
Attraversando i vani espositivi dell'Arsenale e dei Giardini, di volta in volta, è come se ci accucciassimo a guardare attraverso le minuscole finestre di celluloide del palazzo di Auriti, e guardassimo dentro con l'irrefrenabile voglia di scrutare, scoprire e forse anche capire.
Il nipote di Auriti, in un recente articolo, ricorda come da bambino, guardando il modellino realizzato da suo nonno, provasse ogni volta una sorta di indignazione nello scoprire il vuoto dell'interno e l'attesa e la speranza di vedervi un giorno tutte le invenzioni del genere umano, già in perfetto stato di funzionamento, ridotte in scala 1:400.
Gioni, attraverso la Biennale, ha popolato quelle stanze con tutta l'infinita varietà e ricchezza dell'umanità che ha trovato forma, trasformandosi in formule, calcoli, cataloghi, credenze, visioni oniriche e ancestrali, ma soprattutto immagini.
Immagini reali e immagini del sogno, concrete o potenziali, individuali e collettive, evanescenti e geometricamente concrete, mute e chiassose, provenienti dalla memoria e proiettate dal futuro.
Come il Palazzo di Auriti anche la mostra di Gioni è un involucro ricolmo di immagini. E come il Palazzo di Auriti e il Palazzo di Gioni, anche noi, con tutto il nostro carico di credenze, conoscenze catalogate, immaginazione e pazzia, siamo media, portatori sani di immagini che dentro e fuori di noi si moltiplicano all'infinito.
Massimiliano Gioni
Un percorso che dall'Arsenale ai Giardini e dai Giardini all'Arsenale sembra ribadire che
"non ha senso cercare di costruire un'immagine del mondo, quando il mondo stesso si è fatto immagine" (M. Gioni)
Basta guardare dentro e fuori di noi.
Per chi non ha avuto e non avrà l'opportunità di andare a Venezia per curiosare e meravigliarsi, ecco un reportage fotografico e un video, in cui troverete le opere che più ci hanno colpito ne Il Palazzo Enciclopedico e i commenti di Gioni stesso, beccato nel giorno dell'inaugurazione, mentre passeggiava per l'Arsenale accompagnato e intervistato da una troupe di giornalisti e cameramen.
Da notare come tra un'intervista e l'altra si sia preoccupato perfino di raddrizzare le opere esposte.
Bravo Gioni, 100% Art Curator!
Due anni fa il Leone d'Argento come Miglior Artista della Biennale di Venezia andò ad Haroon Mirza, con le sue installazioni ritmico sonore. Quest'anno, nell'edizione de Il Palazzo Enciclopedico, targata Gioni, il premio è stato meritatamente assegnato alla francese Camille Henrot, 34 anni, capelli di un biondo medievale (così scrive Le Figaro). Dal suo sguardo e dal suo modo di concedersi alla stampa internazionale si evinceva emozione ma soprattutto sorpresa. Nella sua camicia di seta color Arlecchino era accompagnata dal partner francese Joakim Bouaziz, a lui il merito della colonna sonora del video premiato.
Camille Henrot
Camille Henrot
Grosse Fatigue, questo il titolo del video, concentra in 13 minuti la storia dell'evoluzione dell'universo, attraverso immagini pop-up e in loop. E' un continuo aprirsi di finestre, un video libro che racconta come il mondo sia stato creato dal nulla, poi popolato da una moltitudine a cui fa da contraltare un'inevitabile solitudine per poi concludersi con la morte. Una sorta di libro della Genesi contemporanea, frutto di un progetto di ricerca per lo Smithsonian Institute.
Subito dopo la premiazione le abbiamo chiesto cosa pensava riguardo la Biennale. Eccovi il video
Alla Biennale di Venezia si aggirava tra i padiglioni un intervistatore d'eccezione. Trattasi di Francesco Bonami, direttore della cinquantesima Biennale di Arti Visive di Venezia del 2003, quando Massimiliano Gioni, molto probabilmente, era solo un assistente.
Se non conoscete lui personalmente, di sicuro conoscete i suoi libri. Tanto per citarne alcuni: Dopotutto non è brutto, Si crede Picasso...
Almeno tre su cinque di voi lettori avrà sfogliato in libreria Lo potevo fare anch'iodella Mondadori, e almeno due dei tre lo hanno comprato. Io sono tra i due che lo hanno acquistato e anche letto.
Tutti almeno una volta nella vita, davanti a un'opera di arte contemporanea hanno pensato: "Ma come! Questa non è arte! Lo potevo fare anch'io!", e sicuramente in moltissimi lo avranno pensato anche dinanzi alle opere della kermesse veneziana di quest'anno. Ma Bonami, con stile irriverente e divertito, ci aiuta a capire perché un artista è considerato un artista, perché il critico ne santifica uno mentre ne manda all'inferno un altro, perché un'opera d'arte è un'opera d'arte, ma soprattutto perché non è vero che potevamo farlo anche noi.
Qualche tempo fa l'ex iena Pif, per la sua trasmissione "Il Testimone", andò da lui per farsi spiegare l'arte contemporanea e tutto il sistema che gli gira attorno. Come dire, il profano, il non addetto ai lavori, il non intenditore, che va dall'esperto.
Questa volta, e proprio in occasione della 55. Esposizione internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, la situazione si ribalta e il signor Bonami, uno dei più autorevoli critici e curatori di arte contemporanea, nonché uno dei volti più solari e simpatici del settore, è andato a caccia di persone non addette ai lavori per intervistarle.
Per vedere l'arte in mostra alla Biennale dal loro punto di vista, Bonami, è andato dal ragazzo al signore più in là con gli anni, dal semplice visitatore appassionato e dal visitatore casuale e sprovveduto di nozioni basilari e per questo forse il più veritiero nei giudizi, perché come scrive Bonami nel citato libro:
"per godersi un'opera d'arte non occorre essere intenditori, basta avere una mente aperta".
Noi lo abbiamo seguito per un po', prima di addentrarci nei meandri dei padiglioni. Eccovi le foto e un video che lo vedono impegnato durante le sue gentili quattro chiacchiere con un gruppo di visitatori.
Francesco Bonami in visita a "Il Palazzo Enciclopedico"
Francesco Bonami che intervista i visitatori
Francesco Bonami che intervista i visitatori
Per chi invece ha la fortuna di essere in quel di Milano, ed è un aspirante artista, proprio domani Bonami, di nuovo con Pif, presenterà il suo ultimo libro, uscito nelle librerie il 14 maggio scorso, dal titolo ancora una volta più accattivante che mai: Mamma voglio fare l'artista! Questa volta a rispondere alle domande ci sarà l'esperto e il non esperto. Scommettiamo che ci sarà da divertirsi? L'appuntamento è al PAC alle ore 19,00. Qui trovate il trailer della presentazione del nuovo libro edito da Electa.
Il Leone d'Oro della 55. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, quest'anno è finito tra le mani dell'artista Tino Sehgal.
Nato a Londra nel 1976, considera l'arte un'esperienza sociale, in cui spettatori e attori si scambiano di continuo ruolo.
L'artista è stato premiato “per l’eccellenza e la portata innovativa del suo lavoro che apre i confini delle discipline artistiche”.
Per Il Palazzo Enciclopedico di Gioni, nella sala centrale del Palaexpo ai Giardini, Sehgal si è presentato con un gruppo di persone che come oggetti d'arte campeggiano nello spazio espositivo cantando, muovendosi, intonando e ritmando suoni, mentre il pubblico cammina e li osserva. Severamente vietato fotografare o filmare il tutto, il divieto vale soprattutto per la stampa. L'assistente di sala ci ha sgridate per ben due volte.
Non potendo fotografare il suo lavoro, abbiamo seguito lui in lungo e largo e l'abbiamo pizzicato subito dopo aver ricevuto il premio più ambito dal mondo dell'arte contemporanea.
Eccovi un video con le dichiarazioni a caldo per la stampa internazionale e le foto della consegna del Golden Lion come Miglior Artista 2013.
In esclusiva per i nostri lettori alcune foto inedite della premiazione dei vincitori della 55.a Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia.
Tutto è pronto per la premiazione e gli invitati cominciano a prender posto.
L'arrivo del Presidente della Biennale Arte Paolo Baratta.
Massimiliano Gioni e Paolo Baratta durante i saluti di rito.
I premi prima della consegna.
Si comincia con i Leoni d'Oro alla carriera per Maria Lassnig e Marisa Merz. Per la prima ritira il premio un suo caro amico.
Marisa Merz ritira il suo Leone d'Oro.
Si passa alle Menzioni Speciali per i due artisti Sharon Hayes e Roberto Cuoghi (assente).
Menzioni Speciali per padiglione Lituania-Cipro e Giappone.
E il Silver Lion va all'artista francese Camille Henrot.
E il Golden Lion per il miglior artista è di Tino Sehgal.
Il Golden Lion è del Padiglione della Repubblica dell'Angola e un grido di gioia e applausi fanno da sottofondo al ritiro del premio.
Servizio fotografico realizzato da Silvia Lucantoni