Nome impronunciabile dell'artista e arte altrettanto difficile da favellare. Ma ci proviamo.
Certo non ci aiuta la mostra presso Gagosian Gallery, come sempre molto molto minimal, ma se non altro in linea con l'artista che espone.
|
Richard Artschwager, Gagosian Gallery, Roma |
Cominciamo con qualche informazione sull'artista. Richard Artschwager, un destino già tutto nel cognome, statunitense, classe 1923, nasce a Washington ma vive e lavora a New York. Ha mosso i suoi primi passi nel mondo dell'arte intorno ai primi anni '50, proprio mentre la Pop Art e la Minimal Art mettevano definitivamente KO il concetto di arte unica e irripetibile.
Il suo lavoro è stato spesso ricollegato alle due correnti artistiche, alla Pop Art per la funzionalità degli oggetti e per l'uso di materiali commerciali e industriali; alla Minimal Art per il suo linguaggio geometrico e asciutto. Ma le due correnti non sono sufficienti per spiegare la sua ricerca poliedrica e zeppa di rimandi.
|
Richard Artschwager, Gagosian Gallery, Roma |
Procediamo dunque per punti.
Arredamento d'interni: I suoi lavori sono un ibrido tra mobili di design e sculture vere e proprie.
Materiali sintetitici:i suoi preferiti sono fòrmica e celotex.
Punti escamativi, interrogativi e parentesi: sicuramente vi sarete già imbattuti in queste sculture, gigantografie 3D dei segni di interpunzione, riprodotti con materiali morbidi o solidi.
Nella mostra di Roma Artschwager riprende un filo concettuale iniziato con Piano (1965). Come scritto nel comunicato stampa "gli straordinari pianoforti di Artschwager sostengono una confusione attentamente orchestrata tra pittura e scultura e ci ricordano che siamo nel regno dell'arte e non nella realtà".
|
Richard Artschwager, Piano Malevich, 2012 (Courtesy Gagosian Gallery) |
La musica e le sue partiture entrano nel mondo di quest'artista per essere scompaginate con variazioni minime. Ad esempio i tasti bianchi, riprodotti sui parallelepipedi ricoperti in formica, hanno dimensioni diverse (fa, sol e la sono più grandi rispetto a do, re, mi e si); i pedali dei pianoforti ora sono tre, ora due. Tanto quanto basta per fuorviarci ancora una volta.
Sempre dal comunicato stampa: "Nel sorprendente universo metaforico di Artschwager, nulla è mai soltanto un'unica cosa (...) un pianoforte è al tempo stesso un mobile, una scultura e un'immagine".
Il suo lavoro è sempre rimasto ancorato all'ambiguità della percezione, nell'interazione tra osservazione e illusione. Oggetti solo apparentemente riconoscibili che stuzzicano i piani dello sguardo e della mente.