domenica 8 maggio 2011

di Unknown

Giovanni Albanese da artista a regista, dalla fabbrica al vernissage in "Senza arte nè parte"

La disoccupazione è oramai una piaga della nostra società a cui già da un bel po' il cinema ci ha abituati, proponendocela attraverso svariati punti di vista.

Il poliedrico Giovanni Albanese, essendo regista ma anche artista, non poteva che scegliere il confronto stridente con la bizzarria e la frivolezza del sistema ruotante intorno all'arte contemporanea. 
Non a caso lo fa proprio alla vigilia della 54. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, evento che lo vedrà coinvolto nei panni di artista (anche lui compare nella lunghissima lista di Sgarbi).
In "Senza arte nè parte", nelle sale cinematografiche dallo scorso 6 maggio, mette quindi in atto una critica  contro il sistema di cui egli stesso fa parte. 

G. Albanese sul set con i protagonisti del film

La storia ruota intorno a tre operai del rinomato pastificio salentino Tammaro, licenziati e poi riassunti dallo stesso Cavallier Tammaro (Paolo Sassanelli), come custodi di una piccola ma importantissima collezione d'arte contemporanea. 
Tra questi c'è Enzo (Vincenzo Salemme), sposato con Aurora (Donatella Finocchiaro) e due figli piccoli a carico. C'è Carmine (Giuseppe Battiston), divorziato alle prese con una madre bizzarra ed un fratello minore scapestrato (Giulio Beranek). Infine Bandula (Hassan Shapi), un immigrato indiano, ormai al verde e senza più un posto dove dormire.
L'incontro con i "Tagli" di Fontana, la "Merda d'artista" o l' achrome "Rosette" di Piero Manzoni o di un'opera come "Bachi da setola" di Pino Pascali, innescano con facilità il meccanismo che vedrà coinvolti gli ex quattro moschettieri del rigatone in una pseudo-truffa  nel bel mondo dei galleristi, tra vernissage ed aste dai numeri esorbitanti.

G. Battiston (Carmine) in una scena del film,
 mentre sceglie le rosette per riprodurre l'achrome di Manzoni

Il film è pungente ma affatto irriverente. Attraverso il faccia a faccia di due mondi totalmente estranei ne vien fuori una commedia agrodolce, in cui dramma e satira, scherzo e presa di coscienza si intrecciano e si alternano in maniera calibrata, senza perdersi in banalità.
L'idea iniziale, però, imbastita attorno alla frase più banale che si possa pronunciare di fronte ad un'opera d'arte contemporanea, "Questa saprei farla anch'io!", si sarebbe potuta ampliare maggiormente.
D'accordo con me anche P. Mereghetti che su "Il Corriere della Sera" ha scritto: 
"E alla fine non riesci a toglierti dalla testa che un’idea di questo tipo avrebbe potuto essere sfruttata molto di più"
Vale comunque la pena andarlo a vedere. Guardate il trailer, magari vi invoglia.



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